venerdì 31 dicembre 2021

Psichedelia Oscura

Va molto di moda prendere una parola e schioccarci accanto l’aggettivo “oscura”, spia di una tenebra che da fuori ci avviluppa o di una imminente cecità. Esterno/interno: stiamo ancora a questo binarismo da sceneggiatura? Quando tutto è poroso, e le delimitazioni si rivelano soglie, segni dipinti su una superficie continua o tutt’al più tensioni superficiali che si “tagliano con un grissino”.

Per non dilungarsi: siccome se n’è parlato solo male negli ultimi cinquant’anni della psichedelia, come teoria, pratica e soprattutto assunzione di una determinata categoria di sostanze, da oggi, per decreto neorinascimentale, se ne parli solo bene, pena l’ostracismo e la censura.


Ovvero (1): la triste parabola del Critico Costruttivo, che non necessariamente è ostile a ciò che sottopone alla sua disamina, ma nell’era della complessità è per paradosso troppo complesso abbaiare alla luna anziché al dito che la indica, specialmente se hai indispettito il Vate, che fra tanti meriti, tuttavia non distingue una citazione da un’opinione e la scambia per quest’ultima, attribuendola al Critico Costruttivo medesimo. Regola aurea del secolo vigesimoprimo: tu citi una cosa, tu ne diventi emanazione e autore, così d’emblée. 


Ovvero (2): la vittoria del bias di conferma sul dibattito, più volte e inutilmente tentato, pensando ci fosse interesse a tale dibattito, che pulsasse un cuore appassionato sotto al narcisismo dei Superni e invece…


Le premesse insomma, non sono un granché, se i Superni – scesi fra noi in extremis per soccorrere i poveri primati che ancora si stupiscono del loro non richiesto pollice opponibile – si comportano esattamente come gli Oscurantisti che li hanno preceduti e, come loro, creano conventicole esclusive di dotti iniziati, tipo massoneria ma senza panzane esoteriche, che gli avrebbero fornito una certa allure e, chissà? Forse la possibilità di ricreare un ambito di uso rituale, pur senza grembiulini e attrezzi da muratore, ma regolamentato e consapevole, extra-farmacologico, oltre la terapia o l’abuso ricreazionale, la produzione illegale e lo sballo tout-court ecc…ci sarebbe stato da divertirsi. 


Grande fermento comunque nel mondo della farmacologia: dai succitati Superni de noantri (che lasciamo volentieri al loro rosario ossessivo-compulsivo di gustosi aneddoti sulle bancarelle di chicchi con musica goatrance) alle università inglesi e statunitensi, tutti volere pinguinodelonghi, e si fanno pressioni per riprendere il discorso laddove fu interrotto dagli Eterni Giovanardi Universali e tutte le consimili iposoggetività poste a guardia del nostro sacrosanto DMN, munite di milizie, mandato popolare e divino; per ora, con comprensibile circospezione e timidezza. 


C’è anche un toccante documentario Netflix riguardo alla difficoltosa sperimentazione di terapie con psilocibina su persone affette da depressione maggiore. Esiti incerti, campione di riferimento esiguo per avere rilevanza statistica, la difficoltà di costruire protocolli, reperire la sostanza legalmente senza essere accusati di spaccio, lo Schedule 1 nel quale essa è iscritta assieme a bamba & robba. I depressi intervistati hanno esperienze illuminanti, non tutti, non sempre, perché non è come ingettonare il juke-box e quello suona e canta lieto; alcuni hanno rivelazioni o regressioni, altri sono semplicemente disorientati; la cura del setting un po’ naïve / newage. Quasi tutti dopo pochi mesi ricadono nella depressione. 


Perché evidentemente (1) l’esperienza oltre un reset momentaneo non va ed è impossibile verificare la validità terapeutica su un arco di tempo più lungo per gli attuali limiti di legge. 

Perché evidentemente (2) la lezione di Fisher su depressione come malattia sociale e acid communism non è stata implementata se non a livello esornativo. 

Infine, ci sono decenni di nulla di fatto, di illegalità, di stigma negativo e demonizzazione da superare. 


My two cents: per me aveva ragione Leary e l’approccio farmacologico è inadeguato. Le sostanze psichedeliche fanno parte della vita di tutti i giorni, come la ben più letale e legale trimurti alcol-tabacco-psicofarmaci; fanno parte di riti sacri e profani, sono sostanze sociali, creano conflitti, alleanze, contagi, risonanze, dalla bicocca newage allo studentato, dal  Goa party al vagabondaggio, alla deriva psicogeografica; che ci azzecca imbottire uno sciagurato di psilocibe e tenerlo su un lettino di ospedale, seppur mascherato con candele, luci soffuse, trapunte colorate e musica newage!? Ma cazzo! Almeno Aphex Twin! 


L’esperimento così condotto è falsato in partenza, come gli studi etologici su animali in cattività: capisco che a Huxley & Co. piaceva rintanarsi in confortevoli alcove, arredate con gusto e ascoltare Mozart; al 99% degli psiconauti di strada gli è toccato in sorte il capannone industriale dismesso, la martella teknusa, il falò di bancali. Ma erano in buona e sintonica compagnia, non di medici che ti tengono per la manina (mi chiedo se già questo patetismo non alimenti un rinforzo negativo, il trip come espiazione, un sottotraccia cristiano di sensi di colpa per cui "solo io sono colpevole della mia depressione, sono io il fautore del mio destino…" e altre batte simili) ma di altri in bomba come loro, presibene e presimale, angeli e demoni e in quel confronto trovare la misura psichedelica di noi stessi o quello che ne resta, o meglio, della nostra interindividualità: trovare nella dissoluzione dell’ego, altri ego dissolti, come mille frigoriferi che sbrinano e gocciolano a terra, miscelandole, le effimere sovrastrutture dell'Io che erano cristallizzate nel DMN. È solo l’ennesima psicosi collettiva o c’è di più? Il gioco è rischioso: sì. Vale la pena: sì. Il terrore per la follia, quando di follia raziocinante è intriso il cammino umano dacché l'australopiteco iniziò a sviluppare in modo abnorme la neocorteccia, impania tutta l'esperienza psichedelica: emendare l'esperienza dalla follia è demenziale quanto bere una birra analcolica; la follia può essere manipolata, resa transitoria, e per farlo è indispensabile "ritualizzarla" – anche laicamente, non è necessario erigere totem o camuffarsi da nativos – in ogni caso, va da sé, che l’esperienza psichedelica è efficace ed ha senso solo come esperienza collettiva e ciò rende controverso (seppur meritevole, lo affermo a scanso di equivoci) il suo studio farmacologico su singoli individui isolati, con le prassi note. Ma poi: chi ha deciso che debba essere per forza un farmaco? 


Stiamo cambiando la mentalità o è soltanto il mercato delle medicine che cerca nuovi sbocchi? Fu vero marketing? 

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