martedì 9 febbraio 2021

Tensione Superficiale

Il romanzo borghese non è inattuale o appassionante, è ipnotico: per questo è assimilabile al picco n della frequenza nella quale prende forma l'ego e ad esso si lega come una molecola al suo recettore. Non è un piacere, fa parte della serie degli automatismi preconsci: fa leva su necessità ancestrali di reperire informazioni utili dall’ambiente; il pettegolezzo, il cortile, il conflitto, il viaggio iniziatico, e tutti i rituali che colà si celebrano dall’alba dell’umanità fino alle stories sui social; i racconti esagerati del pescatore, le veglie attorno al falò, l'evento. La ricerca di una gratificazione o di uno scontro. Comportamenti che lasciano dubitare sulla posizione egemonica dell'umano, sul suo ruolo dismesso di padrone, di figlio di dio, di custode della Terra. A maggior ragione tali narrazioni quanto più perdono consistenza tanto più persistono nel profondo, nell'ectoderma che crea la tensione superficiale fra l'individuo e il tutto, che diventa, per successivi affinamenti, sistema nervoso, superficie sensibile via via più specializzata. Con tali premesse organiche, si comprende la ragione di persistenze che gli "specialisti" giudicano datate, che fanno storcere il naso ai sapienti, agli smaliziati e non è da escludere che per tali ragioni l’ultimo best-seller antropocenico sarà una rielaborazione del romanzo-teatro borghese, una soap opera, una grossa sega al cervello di una specie impiccata col cazzo dritto. Un po' come gli insopportabili e lunari dialoghi di TWD che dall'allungare il brodo diventano brodo, sostanza del successo di massa di un genere di culto passato a pieno titolo nel mainstream, nel dominio sterminato dell'inflazione. 


***


È la furia in me. È lì, sotto una crosta, come le masse liquefatte del mantello terrestre. La superficie è attraversata da linee di faglia, da terremoti, da eruzioni esplosive ma dieci chilometri o dieci secondi dopo, la quiete silvana, i cinguettii e i ronzii, l’acufene agorafobico della Testa-Natura che raccoglie e ingloba il mondo, fin dove le è concesso: innestandolo sul collo, invisibile a sé, se non per tramite di specchi, agitando arti e dita come pinze, che annaspano nella dimensione interindividuale della prossemica; il torso e le gambe che muovono la Terra-testa, la piegano, la saltano, la corrono, la nuotano, la scalano o insistono in unico fotogramma fino a maculare la retina come un vecchio monitor a circuito chiuso, sul quale rimane impressa la ripresa della telecamera fissa. Vi è un limite oltre il quale le cause, anche le più sconquassanti, si esauriscono. Ed è sempre orizzonte. Di spazio e di tempo, perché noi, schizoidi, scindiamo a nostro comodo un’unità inestricabile e vischiosa; perché sulla Terra col suo moto di rotazione e rivoluzione e l’immediatezza apparente della luce, è facile inventare la convenzione del tempo; l’ossidazione, la vecchiezza, l’entropia, la crescita ed il decadimento ci danno l’illusione di un divenire astratto, platonico. Come rappresentare la quarta dimensione superna e ineffabile? Con lo scandire di pendole, con le vibrazioni del quarzo, che sono movimenti nello spazio, che noi enumeriamo come tacche millimetriche su un metro da falegname. Con questo criterio di micro/macro misurazione/segmentazione, spingiamo la nostra speculazione all’interno della materia, dell’energia e del cosmo. Tutto infine soggiace alla soglia dell'indicibile, dove il moto ipercinetico si confonde con la stasi; siamo colti da estremofilie struggenti, un impeto romantico e carnale ci avvilisce e ci esalta senza possibilità che si risolva se non nel rientrare in uno stato di quiete. È la tensione superficiale e perimetrale, la tensione epidermica, la sua porosità con il resto da noi, che pur ci abbuffiamo di mondi, mai sazi, sempre sull’orlo di una congestione. La tela è bianca, di un bianco d’avorio, impuro e poroso ad un’assenza indecifrabile, che registriamo come sporco, come disturbo. Su questa superficie viene dipinto il mondo. 

mercoledì 3 febbraio 2021

Song' un ov'

"Alla fine, la poesia è invasione, non espressione, una traiettoria d’incinerazione: o sospesa nelle ambrate distese di grano celesti, o sprofondata nelle oscure acque infernali. È la via per la creazione, l’interpretazione di ogni destino come enigma, come attrazione."

Nick Land. Collasso: Scritti 1987-1994 (Italian Edition) . Luiss University Press.

Con riferimento al mio precedente post e all'attivazione iperstizionale che è del linguaggio poetico. La forma dell'Uovo Cosmico che contiene come un nocciolo di materia fissile pronta ad esplodere, un enigma e il suo disvelarsi. Nel giugno del 2010 in un poemetto che chiamai "Interludio Stabiese" scritto, com'è piuttosto semplice dedurre, durante un breve soggiorno a Castellammare di Stabia, uscì fuori questo verso:

 "Song' un ov'" (sono un UOVO) 

…nell'accezione più infantile e animale che si possa dare alla parola "verso" (fare il verso al dialetto napoletano che non mi appartiene ma nel quale ero immerso; il verso come comportamento imitativo d'apprendimento, il verso come sproloquio di ubriaco ecc…). Il verso animale e il verso infantile hanno in comune alcune peculiarità, non sono solo espressioni di stati emotivi in essere o reazioni meccaniche a fenomeni sensoriali; in essi si annida un presagio, che in un universo deterministico potremmo definire "iperstizione" (l'incursione del futuro nel presente). Quindi sono, in un certo senso, magici, perché autoavverano o scongiurano un evento che si era adentrato nel confine probabilistico, al limitare della percezione, sulla soglia mobile fra esistenza e allucinazione. Con la domesticazione (del bimbo come dell'animale) certe proprietà sciamaniche si attenuano, talvolta si perdono. C'è una stretta relazione fra questa perdita e la riduzione del range di suoni, come notato anche da Jackobson "scompaiono tutti i suoni strani e anormali di articolazione complicate". È l'ottusità del default mode network, un filtro, sulla carta rigoroso, il picco di frequenza che definiamo ego, fra il desiderante e il macchinico inconsci. Solo accedendo a queste zone perimetrali attraverso tecniche di sabotaggio del DMN (come nelle prassi psichedeliche o del sogno) o tramite la pratica del linguaggio mitico \ poetico, recuperiamo seppur brevemente (confusamente) la condizione primigenia di totale ricettività. E quel che arriva, arriva, non ci si può poi lamentare. Accogliamo il caos con animo lieve, ché la chiaroveggenza è un lungo e irrisolto pellegrinaggio o peggio, una logora presunzione positivista.

Covare l'uovo cosmico è nostra premura. Il suo smarrimento dà luogo a una caccia pasquale; in quei trastulli infantili vi è l'esercizio ancestrale di ricerca di quella parte nascosta che si interfaccia con l'inconscio collettivo - i fricchettoni non cercavano l'Io anche se era un po' una frase fatta, uno slogan - cercavano il "sé stesso". Esiste un deposito nel quale, giunti alla fine della corsa veniamo privati del nostro essere, e questo diventa, come nei lugubri stanzoni di Auschwitz, valigia fra le valigie, entità molare di vite come memoria e vissuto, spersonalizzata seppur recante ancora, ben leggibile un nome ed un indirizzo in bella calligrafia scritto col gesso sopra. La catasta negativa speculare all'accumulo che è un dépense mascherata d'utilitarismo; l'hoarders è l'agente incaricato di reperire la massa critica del pensabile e dell'immaginabile per inedite deflagrazioni. È il nostro amico che si occupa dei botti del capodanno irraggiungibile, il Sol Invictus in un'attesa messianica e marxista, il sol dell'avvenire; è il vecchio che riempiva il materasso di banconote, destinate all'oblio e ad esser ritrovate ormai fuoricorso, per uno sperpero che non si innesca perché ci irradia continuamente. È l'arsenale atomico, la deterrenza, la riserva aurea, la ziggurat di cereali, la pila di libri, la pratica della saṃnyāsa, la rinuncia e l'annientamento. Questo comportamento solare di preparazione al potlatch è una reverse engineering patetica, o per dirla con Bataille:

"Al di là dei nostri fini immediati, la sua opera [ dell'umanità] in effetti persegue l'inutile e infinito compimento dell'universo" (La Parte Maledetta) 

un tentativo spettrale di ricostituzione dell'uovo cosmico che già all'origine del tempo si è schiuso dando luogo alla volta dorata del cielo. L'Hiranyagarbha.

"Immagini affini a quelle mitologiche sulle origini del cosmo sono state descritte dagli astrofisici a partire dagli anni trenta, quando hanno incominciato a parlare di un nucleo primordiale preesistente, oscuro e inconoscibile, dal quale si sarebbe sviluppato l'Universo per via del Big Bang, da allora in poi resosi manifesto perché emettitore di luce.L'idea nasce dal tentativo di integrare l'osservazione di Edwin Hubble di un universo in espansione, ipotesi già formulata da Albert Einstein con le sue equazioni della relatività generale. Lo scienziato Erwin Schrödinger appassionato di Vedānta, applica questo concetto alla meccanica quantistica." 

(fonte wikipedia)

L'Uovo Cosmico è infine il primo di tutti gli zeri, che contiene l'uno e il molteplice in un mezzo vischioso, tipicamente iperoggettuale. Lo zero che ne risulterà, un calco di possibilità già enunciate nella schiusa, che si diramano in ogni direzione dello spazio, che per eccesso di espansione diventerà spazio-tempo, volta curva come un uovo visto da dentro. Il guscio trattiene per l'eternità questo oceano probabilistico senza riuscirci veramente; l'uovo, la sua presenza di contemporaneamente uno e molteplice è a-temporale, in ogni caso pre-temporale. Il guscio non è una blindatura, ma una tensione superficiale elastica, prenatale, idrogeno metallico allo stato liquido nel cuore di Giove (il sole mancato). Il guscio più che proteggere, separa prima del principio il "tuttuno" dal nulla pre-zero. Il guscio è altresì poroso e questo permette una fecondazione che io non saprei descrivere, perché operata dal nulla (ex nihilo?) che lo circonda prima dello spazio e del tempo, delle dimensioni e delle proporzioni, dell'esperienza sensoriale o metafisica o materiale che ci appartiene e ci rende operativi; non è in alcun modo esprimibile questa condizione che precede lo spazio-tempo, la matematica, il pensiero, perché il vuoto quantistico cui siamo avvezzi è sempre una complessità, la possibilità di un pieno che è stato o che sarà, che potrebbe essere. Solo dopo l'esplosione (Big Bang) si verificheranno le transizioni note, le iridescenze topologiche; si genereranno i mari di Dirac, le spugne di Menger, i triangoli di Sierpinski, i fiordi insinuanti fra vita e morte, il caving in labirintico che ci seduce e ci risucchia come vele.

"Sono l’involucro buffo

di un’entità senza gioia

la parte inservibile

di un tutto indispensabile. 

Song ‘un ov’ ... (sono un uovo) 

che esce dal culo della gallina 

per essere la cosa più buona 

che possa uscire da un culo, 

in senso assoluto

e perciò assolto, rimesso i miei peccati, come 

tante volte ho rimesso

anche la prima comunione,

tanto ero gonfio, briao gonfio

finalmente pieno di qualcosa,

di vapori, solfatara dell’egocentro, 

distilleria esplosa"


Interludio Stabiese - Ass Cult Press, 2018