venerdì 31 dicembre 2021

1P-LSD Seconda Esperienza

Ho assunto 1p-lsd (25 mmg per ora, microdosing). Guardavo la coppia al tavolo di fronte che beve un prosecco: è lampante. L’unica modalità di assunzione veramente soddisfacente è conviviale. Nel corso della nottata e del primo mattino, ho assunto ulteriori 25mmg e infine 50mmg (complessivamente un blotter completo da 100).

Il Demone

È comparsa all'inizio della notte una donna demone: non era un demone malvagio, ma la sostanza mi ha dotato pro-tempore di questa facoltà tomografica di leggere o vedere evidenziati nei tratti somatici le sofferenze, le dipendenze, come se le esperienze dolorose emergessero dalla carne. Occhi spiritati cerchiati di nero, gli stessi che ho rivisto al mattino in mia madre, che mi pareva storta, smunta, così deforme su un lato che ho temuto, dal momento che lamentava dolore al braccio, fosse vittima di un infarto. La stessa medicina amara della visione si è applicata, introspettiva, anche a me stesso. Avevo apiegata di fronte a me una chiara mappa del mio sistema nervoso e comprendevo con naturalezza, la potenza delle emozioni, il loro insorgere come fenomeni chimici ed elettrici, sotto forma d'impulsi luminosi che disegnavano tracciati vividi nei labirinti delle circuiterie nervose, la loro ricaduta sui processi vitali degli organi interni. Perciò ho pianto a lungo, perché ero via via più consapevole di come il rancore che mi ha impregnato negli anni, fosse la causa di tutto il Male: la rabbia a cui i cinesi nella loro tradizione attribuiscono l'inquinamento del Qi. Non mi riferisco ad un malessere meramente astratto, spirituale, ma fisico e che comunque, è prosecuzione di quello spirituale, una continuità i cui confini fittizi si perdono nell'altrove\altrui, ma di cui le soglie sono manifeste. Male fisico che potremmo definire somatizzazione, nel mio caso specifico la cardiopatia cronica e l'insufficienza cardiaca. La sostanza mi ha indotto a compiere delle semplici azioni curative a monte del processo di corruzione, esplorative in principio, indirizzate a individuare i nodi di dolore, poi cercando di ristabilire un pensiero adeguato (in senso spinoziano) si sono attivati processi di accettazione che richiederebbero mesi di psicoterapia, e che al contrario mi si sono presentati a portata di mano, nel giro di poche ore. Si è trattato soprattutto di telefonate di riconciliazione e franchezza: con alcuni amici nella notte e al mattino con la mia ex moglie. 

La semplicità del gesto, della pratica (che non ha nulla di "psicomagico") non cancella o rende semplicistico il male fatto e ricevuto: nella visione (concettuale) che mi si è mostrata, questi mali sono apparsi sotto forma di nodi del legno. Alcuni nodi sono così compatti che nemmeno la sega a nastro può tagliarli, o almeno questo è ciò che mi raccontava mio padre, che era restauratore e falegname. Essi restano nell'economia della crescita della pianta segno indelebile, così anche nei tavolati di legno; un'amica mi ha rammentato del rovere, la cui texture è caratterizzata da numerose nodosità che ne sono tratto distintivo estetico.

L'Angelo

Al termine della notte di lacrime è comparso dalla nebbia, Andrej (io mi chiamo Andrea; le sincronicità si manifestano con potenza, inattese). Eravamo solo noi due al crocicchio nel centro della città vuota. Egli è apparso dal nulla, mi ha detto di essere polacco, che era stato in prigione un anno e l'ho accompagnato alle poste a prelevare soldi al bancomat. Abbiamo parlato delle nostre madri, poco, con semplicità: dopodiché le nostre strade si sono divise e dalla nebbia, come era arrivato, è scomparso. Nell'esperienza psichedelica egli ha rappresentato l'angelo, concludendo il ciclo di purga iniziato con l'apparizione del demone; un'epifania bonaria, inviatami da mio padre. Ovviamente l'elaborazione del lutto paterno ha un ruolo preminente nelle mie esperienze psichedeliche, durante le quali egli si presenta, non in forma fantasmatica o spettrale, ma come reminiscenza viva, come insegnamento e modello. Ripensare a mio padre mi ha fatto ricordare come egli seppe perdonare i fratelli con cui aveva avuto gravi dissapori: un perdono non cieco, un perdono che esibisce le sue cicatrici, che non deborda nella falsa rimpatriata, in una cancellazione del passato tanto deleteria come quella del negazionismo del rancore, o nel proverbiale "tarallucci e vino", ma che individua e aggira il nodo, volta pagina autenticamente e riscopre un affetto intatto, che è quello che ha tenuto insieme negli anni la mia famiglia, mio padre, le sue sorelle e fratelli (erano in sei). Più che un voltare pagina in avanti, un reset, un ritorno all'originale legame primario di latte, precedente al dolore e ai contrasti, prima che questi cominciassero ad alterare la trama del rapporto. Un superamento nel passato, mondato di nostalgie, che possiamo sperimentare anche con chi non ci è consanguineo, con chiunque abbia (o abbia avuto) con noi una relazione intensa.

Annotazioni visive e sensazioni fisiche di rilievo

Interessante la percezione della luce, a lampi iridescenti che si muovevano sulle superfici come scintillii, come se potessi percepirla al rallenty (molto rapidamente ma non istantanea) e soprattutto del calore. Ho cucinato in pieno picco e potevo percepire, nelle forme note del drifting, l'energia radiante trasmessa dai fornelli. In pratica oltre a "visualizzare" il dolore (di mia madre, della mia amica, di me stesso) la sostanza traduceva in pattern visibili estremamente ordinati, anche fenomeni fisici come il calore, un effetto assimilabile al Morgana o alle fluttuazioni di aria calda sull'asfalto in estate, ma molto più dettagliato, geometrico: uno sfrigolio come di vetro smerigliato liquefatto, l'increspatura del vento controluce sopra una placida superficie lacustre. Come la volta scorsa, ho provato freddo cosmico nelle ossa, tremori, quelli piuttosto fastidiosi, anche perché si sono protratti fino al tardo pomeriggio, a ondate, forse determinati dalla mia condizione o è una caratteristica di questa molecola? Non saprei dirlo: per me credo l'ideale è 25, max 50mmg, anche perché trascorrere 24h insonne, indipendentemente dai brividi, è estenuante. 

Psichedelia Oscura

Va molto di moda prendere una parola e schioccarci accanto l’aggettivo “oscura”, spia di una tenebra che da fuori ci avviluppa o di una imminente cecità. Esterno/interno: stiamo ancora a questo binarismo da sceneggiatura? Quando tutto è poroso, e le delimitazioni si rivelano soglie, segni dipinti su una superficie continua o tutt’al più tensioni superficiali che si “tagliano con un grissino”.

Per non dilungarsi: siccome se n’è parlato solo male negli ultimi cinquant’anni della psichedelia, come teoria, pratica e soprattutto assunzione di una determinata categoria di sostanze, da oggi, per decreto neorinascimentale, se ne parli solo bene, pena l’ostracismo e la censura.


Ovvero (1): la triste parabola del Critico Costruttivo, che non necessariamente è ostile a ciò che sottopone alla sua disamina, ma nell’era della complessità è per paradosso troppo complesso abbaiare alla luna anziché al dito che la indica, specialmente se hai indispettito il Vate, che fra tanti meriti, tuttavia non distingue una citazione da un’opinione e la scambia per quest’ultima, attribuendola al Critico Costruttivo medesimo. Regola aurea del secolo vigesimoprimo: tu citi una cosa, tu ne diventi emanazione e autore, così d’emblée. 


Ovvero (2): la vittoria del bias di conferma sul dibattito, più volte e inutilmente tentato, pensando ci fosse interesse a tale dibattito, che pulsasse un cuore appassionato sotto al narcisismo dei Superni e invece…


Le premesse insomma, non sono un granché, se i Superni – scesi fra noi in extremis per soccorrere i poveri primati che ancora si stupiscono del loro non richiesto pollice opponibile – si comportano esattamente come gli Oscurantisti che li hanno preceduti e, come loro, creano conventicole esclusive di dotti iniziati, tipo massoneria ma senza panzane esoteriche, che gli avrebbero fornito una certa allure e, chissà? Forse la possibilità di ricreare un ambito di uso rituale, pur senza grembiulini e attrezzi da muratore, ma regolamentato e consapevole, extra-farmacologico, oltre la terapia o l’abuso ricreazionale, la produzione illegale e lo sballo tout-court ecc…ci sarebbe stato da divertirsi. 


Grande fermento comunque nel mondo della farmacologia: dai succitati Superni de noantri (che lasciamo volentieri al loro rosario ossessivo-compulsivo di gustosi aneddoti sulle bancarelle di chicchi con musica goatrance) alle università inglesi e statunitensi, tutti volere pinguinodelonghi, e si fanno pressioni per riprendere il discorso laddove fu interrotto dagli Eterni Giovanardi Universali e tutte le consimili iposoggetività poste a guardia del nostro sacrosanto DMN, munite di milizie, mandato popolare e divino; per ora, con comprensibile circospezione e timidezza. 


C’è anche un toccante documentario Netflix riguardo alla difficoltosa sperimentazione di terapie con psilocibina su persone affette da depressione maggiore. Esiti incerti, campione di riferimento esiguo per avere rilevanza statistica, la difficoltà di costruire protocolli, reperire la sostanza legalmente senza essere accusati di spaccio, lo Schedule 1 nel quale essa è iscritta assieme a bamba & robba. I depressi intervistati hanno esperienze illuminanti, non tutti, non sempre, perché non è come ingettonare il juke-box e quello suona e canta lieto; alcuni hanno rivelazioni o regressioni, altri sono semplicemente disorientati; la cura del setting un po’ naïve / newage. Quasi tutti dopo pochi mesi ricadono nella depressione. 


Perché evidentemente (1) l’esperienza oltre un reset momentaneo non va ed è impossibile verificare la validità terapeutica su un arco di tempo più lungo per gli attuali limiti di legge. 

Perché evidentemente (2) la lezione di Fisher su depressione come malattia sociale e acid communism non è stata implementata se non a livello esornativo. 

Infine, ci sono decenni di nulla di fatto, di illegalità, di stigma negativo e demonizzazione da superare. 


My two cents: per me aveva ragione Leary e l’approccio farmacologico è inadeguato. Le sostanze psichedeliche fanno parte della vita di tutti i giorni, come la ben più letale e legale trimurti alcol-tabacco-psicofarmaci; fanno parte di riti sacri e profani, sono sostanze sociali, creano conflitti, alleanze, contagi, risonanze, dalla bicocca newage allo studentato, dal  Goa party al vagabondaggio, alla deriva psicogeografica; che ci azzecca imbottire uno sciagurato di psilocibe e tenerlo su un lettino di ospedale, seppur mascherato con candele, luci soffuse, trapunte colorate e musica newage!? Ma cazzo! Almeno Aphex Twin! 


L’esperimento così condotto è falsato in partenza, come gli studi etologici su animali in cattività: capisco che a Huxley & Co. piaceva rintanarsi in confortevoli alcove, arredate con gusto e ascoltare Mozart; al 99% degli psiconauti di strada gli è toccato in sorte il capannone industriale dismesso, la martella teknusa, il falò di bancali. Ma erano in buona e sintonica compagnia, non di medici che ti tengono per la manina (mi chiedo se già questo patetismo non alimenti un rinforzo negativo, il trip come espiazione, un sottotraccia cristiano di sensi di colpa per cui "solo io sono colpevole della mia depressione, sono io il fautore del mio destino…" e altre batte simili) ma di altri in bomba come loro, presibene e presimale, angeli e demoni e in quel confronto trovare la misura psichedelica di noi stessi o quello che ne resta, o meglio, della nostra interindividualità: trovare nella dissoluzione dell’ego, altri ego dissolti, come mille frigoriferi che sbrinano e gocciolano a terra, miscelandole, le effimere sovrastrutture dell'Io che erano cristallizzate nel DMN. È solo l’ennesima psicosi collettiva o c’è di più? Il gioco è rischioso: sì. Vale la pena: sì. Il terrore per la follia, quando di follia raziocinante è intriso il cammino umano dacché l'australopiteco iniziò a sviluppare in modo abnorme la neocorteccia, impania tutta l'esperienza psichedelica: emendare l'esperienza dalla follia è demenziale quanto bere una birra analcolica; la follia può essere manipolata, resa transitoria, e per farlo è indispensabile "ritualizzarla" – anche laicamente, non è necessario erigere totem o camuffarsi da nativos – in ogni caso, va da sé, che l’esperienza psichedelica è efficace ed ha senso solo come esperienza collettiva e ciò rende controverso (seppur meritevole, lo affermo a scanso di equivoci) il suo studio farmacologico su singoli individui isolati, con le prassi note. Ma poi: chi ha deciso che debba essere per forza un farmaco? 


Stiamo cambiando la mentalità o è soltanto il mercato delle medicine che cerca nuovi sbocchi? Fu vero marketing? 

martedì 28 dicembre 2021

Il Paradigma dell’Inadeguatezza

Un commento in risposta al pezzo pubblicato su LGE “ Il Cosmologo e il Ciarlatano” https://lagrandestinzione.com/2021/12/22/il-cosmologo-e-il-ciarlatano


Innanzitutto qual è il vostro paradigma? Non lo dite: non è che non lo si capisce perché siamo tutti rincoglioniti. Vediamo vari personaggi dell’ultimo atto di questa tragicommedia umana agitarsi nebulosi sullo sfondo nitido di un crollo al rallentatore: hanno appena spento le luci in sala e sul palcoscenico salgono i baroni,    i saltimbanchi e infine, le Cassandre, che a tutti gli altri, ancora presi come in un incanto nel voler salvare vecchie capre e cavoli, additano il rapido incombere della sventura, l’Esattore Cosmico che s’approssima minaccioso a presentarci il salatissimo conto agrilogistico. Ostentando la pistola fumante, muovono un’accusa circostanziata: è stata l’umanità. A conforto di questa tesi le testimonianze di studiosi, climatologi, scienziati ecc… che hanno incastrato la colpevole: ha lasciato ovunque il suo dna, le sue tracce, i mozziconi di sigaretta e le microplastiche, i pesticidi e le chiazze di sangue. Il pubblico in sala, nonostante il plot abusato, si appassiona, tace, qualcuno tossicchia. L’aspetto affascinante e osceno, nel senso etimologico del termine, di questa storia trita e ritrita è che tutto accade fuori da essa; durante la rappresentazione di per sé fittizia brucerà tutto il teatro, al rallentatore, senza che scatti un allarme, come il tetto di Notre-Dame, nulla di apocalittico in principio, sarà il monossido ad assopire e uccidere dolcemente tutti prima del bbq: il pubblico, gli attori, i figuranti e anche le Cassandre. Come direbbe Larkin, alla morte non frega se frigni o sei coraggioso. Non mi si fraintenda, non è la citazione di una poesia formidabile usata per fare una sparata cinica contro la consapevolezza che deve essere febbrilmente perseguita o  perlomeno esserne perseguitati, ma vedere in anticipo su altri, presi ancora a baloccarsi con i loro gingilli culturali, i prodromi del collasso, non significa automaticamente avere nuovi paradigmi. Se si possiedono, vengano esibiti senza indugio, e con la massima urgenza! E non si può nemmeno, ogni volta, chiamare in causa gli altrui insanabili vizi di forma, le merde pestate da Agamben o Wu Ming, per poi calciare la palla in fuori gioco. Costoro, come chi reclama nuovi paradigmi, non sono in grado di formularne,  se non attaccandosi a concetti e forme consumate, derivative, esauste, perché appartengono (apparteniamo) alla stessa rappresentazione: suoniamo tutti nell’ orchestrina del Titanic e chi non sa suonare, balla, si tuffa, urla o annega. 

La pandemia (che è solo un assaggio) ha sistematicamente messo in crisi e in conflitto fra loro i nostri modelli di socialità, democrazia, cultura: si stanno frantumando di fronte alle implacabili dinamiche del contagio. Stiamo parlando - è vero - di una debacle antropologica senza precedenti, nonostante TINA abbia documentato alcuni scenari accaduti o in potenza, finora siamo stati pieni di una sicumera data da tecnologie incalzanti e mimetiche rispetto alla magia, da un benessere (non condiviso) da una relativa sicurezza rispetto ai patogeni (nonostante i tratti endemici delle malattie oncologiche e cardiache, o depressive, vere e proprie epidemie sociali) che ci hanno

permesso di languire negli psicologismi, nei giochetti di potere più o meno atroci, negli sgambetti; il dispetto, la piaggeria, l’intersiziale, sono stati i margini di manovra per la maggior parte degli operatori culturali fino all’altro ieri; mai avremmo pensato di ritrovarci così disperatamente soli, divisi, afoni e soprattutto, maldestri. Non solo come singoli o privati cittadini: le arti, la letteratura, la filosofia, la musica, le scienze, i nostri strumenti cognitivi si sono rivelati forbicine stondate, lucine di natale calate nell’abisso che si è aperto come un sink hole improvvisamente nel cuore della civiltà. Le avvisaglie e le Cassandre ci sono state, ma sono state ignorate perché parte della rappresentazione; Improvvisamente il mondo che avevamo esplorato e che alcuni credevano di tenere in pugno si è rivelato alieno, ma in questa alterità si sono aperte terre incognite, per le quali vale la pena provare, nei miei molti limiti, a essere propositivo e se anch’io pesterò una merda, pace; proverò a formulare un paradigma esplorativo necessariamente insufficiente, visto che è ciò che a gran voce e da tempo si richiede, e non posso più ignorarlo. 

La mia proposta è l’inadeguatezza. 

Partiamo da ora, hic et nunc; restiamo alla situazione in divenire; siamo ad oggi, oltre che artefici di uno sfruttamento scellerato del pianeta, pervasi da una totale inadeguatezza, che ci fa credere incapaci di rimediare il danno arrecato, tanto che sarebbe opportuno chiedersi se quello

che si è prodotto sia davvero un “danno” fuor che per noi stessi e per le forme di vita che ci sono contemporanee o un “innesco” un trigger, per l’origine di una forma nuova, ibrida: sto pensando a Chernobyl. Siamo solo degli adolescenti che hanno sfasciato casa mentre mamma e papà erano via nel weekend? Nel filmetto i genitori tornano, fanno una ramanzina ai pischelli e ripuliscono casa. Nella realtà non è così: siamo orfani, o tutt’al più genitori e figli di noi stessi; la casa non è nostra, nemmeno in affitto, men che meno in comodato d’uso, ma coabitiamo e siamo abitati da essa in un rapporto simbiotico e parassitario, conflittuale e cooperativo a fasi alterne o sovrapposte, suscettibile di variazioni imprevedibili. Abbiamo scarsa concezione delle soglie, ignoriamo molti trigger di attivazione e disattivazione. Viviamo annidati in una trama come acari, avviluppati in essa, senza alcuna finalità nota: non ci sono all’orizzonte un Pasteur, o uno Jenner, capaci di sviluppare “paradigmi controintuitivi”. Non potrebbe oggi nascere l’idea geniale di “vaccino” perché la nostra epoca ha (e continua a farlo) incoraggiato i leccapiedi, i conformisti, gli specialisti e gli ierofanti a guardia del fortino; ha irriso i visionari come i miserabili, e questo piccolo “psicodramma familiare” del primate glabro, di per sé squallido, ma di poco conto, non è nemmeno il problema, perché le mutazioni del nostro habitat spazzeranno via tutto il baraccone. 

Allora sì, il paradigma emergerà con forza, perché saremo privi di ricovero, di palcoscenico, di costumi e titoli da esibire, ci resterà un corpo nudo (o più corpi) investito dal senso di inadeguatezza, dall’urgenza; lo stordimento, che prima o poi passerà, ci lascerà traumatizzati, ammesso che sopravviviamo, e da quel trauma magari riprenderemo a costruire una cultura antropocentrica con le dipendenze e consorterie che ne derivano. Ma potremmo fare diversamente? Ripensiamo alla zecca di Deleuze, alla sua agentività come zecca. Per noi dovrebbe essere differente? Certo, lo stupore iniziale è scioccante, come picchiare forte in macchina: è lo sgomento dei militari che alla fine lanciano l’atomica sui marziani, e l’atomica ai marziani fa come il nonno alla nonna. Cosa sconfigge i marziani? - dove per marziani s’intenda metaforicamente una condizione di diffusa ostilità percepita - Il raffreddore (almeno nella geniale e ancora attuale visione di Wells). I microorganismi da cui deriviamo, che ci compongono, che ci coabitano, che ci permettono di digerire, di pensare, o che possono ucciderci senza malanimo alcuno. Equanimi. 

In ogni modo, non sarà giocando a palla avvelenata con il “paradigma” che troveremo i paradigmi: siamo sincronici e incatenati agli eventi in continuo divenire di cui facciamo parte e per i quali non siamo preparati; non abbiamo, né possiamo avere una visione long term, visione di gioco, perché la caligine del teatrino in fiamme ci avvolge e sonnecchiamo intontiti dal monossido, sognando che tutto infine resti com’è, una rappresentazione, che il Titanic resti come eternamente in sospeso fra lo

stare a galla e l’affondare e ci incistiamo in una sacca dì sospensione temporale, una bolla democristiana, di moderazione, come nelle malattie croniche stabilizzate in un plateau indefinibile, un’eternità effimera, confortevole, fino al successivo cedimento, un’orbita dì parcheggio, la caduta senza impatto; la saturazione cola a picco, non solo gli ignoranti impenitenti, non solo chi ha ignorato coscientemente Cassandra (i superstiziosi) o Laocoonte (i soliti che sghignazzano); paradossalmente dunque non stiamo assistendo ad una tragedia come rappresentazione o catarsi, perché ne ignoriamo deliberatamente la sua realtà come dato fattuale e sfuggente; è come se fossimo privi di un senso in grado di percepirla (gli antichi avevano i veggenti per tale scopo) siamo incapaci di formulare in corsa (in fuga?) una ritrattazione in tempo reale del contratto sociale e biologico - ci sono delle teorie, ma sono pezzi di lego sparpagliati sul tavolo, ancora da assemblare - sono i giocattoli sgangherati di cui parla Morton con cui però nessuno gioca – inadeguatezza, anche rispetto a ciò che si è creato, alle macchine ultraveloci, nelle quali abbiamo introiettato il nostro sogno irrealizzabile della velocità di adattamento, di trasformazione, di evoluzione o emendamento, quando biologicamente siamo gli stessi da circa trecentomila anni; di questi, abbiamo trascorso gli ultimi dodicimila, a dire agli altri cosa fare, grotteschi, mossi da qualche appetito triviale, una specie che diventa stanziale per ubriacarsi; qualche rinforzo negativo ci ha condotto verso / impedito l’estinzione più volte rasentata. Non possiamo, né potremmo ora avere profeti o sciamani perché anche questi sarebbero “attori” accecati dal presente, tramortiti dal monossido; dubito, da sostenitore, che la tardiva chiamata in gioco della psichedelia, possa squarciare le massicce fibrosità del conformismo accademico, della spocchia autoreferenziale, ora che le pareti della bolla si sono inspessite. Forse soffocheremo in essa e il teatrino cui assistiamo è solo una suggestione proiettata sulla superficie interna della bolla, come in un visore VR; tutte le strategie, anche le più promettenti, s’impantanano nell’hype - quando godono di un fugace clamore - oppure sfioriscono; altri si rifugiano nella retromania e i nostri immaginari sono manipolati da showrunner, che percorrono la "scia chimica" della massimizzazione dei profitti. Prendendo atto di tutto questo, della nostra scarsa confidenza con la morte e la malattia (la prima che non è mai annichilazione, la seconda che può rivelarsi opportunità) il primo passo da compiere è, a mio modesto parere, quello di riconoscere la nostra inadeguatezza: non come atto di contrizione. Non è un mea culpa. Sylvia Plath lo ha fatto con discreti risultati: il suicidio dei visionari è incidentale, la follia indispensabile o tuttavia inevitabile; molti che hanno detto qualcosa di sensato erano pazzi, molti si sono ammazzati o sono morti prematuramente: non formalizziamoci sui destini del vettore virale. Nessuno si era mai posto finora il problema della rispettabilità, o della credibilità come oggi la intendiamo, a stringere ulteriormente la bolla, fino a farla diventare un sacco di plastica in testa: che qualcuno speri in un orgasmo da soffocamento?  Ah, quelle gratificanti pulsioni anaerobiche delle vite primeve, il revival di un brivido procariota! Direi di essermi dilungato sin troppo. Calcio anch’io la palla fuorigioco a questo punto, ma prima ci scrivo sopra “inadeguatezza”. Qualcuno la raccoglierà o la prenderà in testa e mi manderà affanculo: intanto il primo paradigma che propongo è questo. Non è dato sapere se ciò produrrà sviluppi salvifici per la specie o il pianeta, o sarà l’ennesima puzzetta letteraria che va a incrementare gas serra, ma ciò è irrilevante. 


sabato 13 novembre 2021

Dune o altrimenti Cyclonopedia

Negarestani nel suo "Cyclonopedia" di recente tradotto in italiano, offre una serie notevole di spunti e fra questi due in particolare mi sono rimasti impressi: il declino infinito ed il deserto

Il filosofo iraniano riconduce questi concetti principalmente al Medio Oriente, inteso non solo come territorio in senso geografico o come spazio e stratificazione di civiltà, culla del modello stanziale e agrilogistico, ma anche come un'entità senziente attraversata da una concentrazione sotterranea straordinaria di forze petrotelluriche: il Medio Oriente è il nostro Arrakis ed esattamente come Arrakis, il suo cuore è un deserto, distesa arida, secchezza delle fauci e allucinazione da sete petrolifera insaziabile, piazza di spaccio dove le civiltà post-coloniali e tecnocapitaliste si attestano a rota, nella loro cieca dipendenza energetica incontrollabile, alimentando tutti i conflitti recenti e in corso, i travagli dei popoli che lo abitano, attraendo nuove generazioni di giovani combattenti stranieri (foreign fighters) disposti a tutto, persino a consacrarsi all'oscurantismo integralista e al martirio, pur di sfuggire all'incubo annichilente di un occidente tossico e in cui sono cresciuti da emarginati: molti di loro infatti sono europei che hanno "radicalizzato", talvolta durante l'esperienza carceraria, che magari prima non erano neppure credenti. Un percorso simile a quello di Malcolm X, in un contesto e con esiti differenti, documentato in numerosi studi sul fenomeno della radicalizzazione in Europa; in un certo senso ricordano i Fremen, per il rigore, l'abnegazione, la spiritualità belligerante, ma di Dune parlerò fra un attimo.

Partiamo dal declino infinito, circolarità e cold turkey, attesa in dolente astinenza, che richiama il concetto di orbita, la “caduta infinita” senza impatto: un “delicato equilibrio” – sempre citando Dune. Affolliamo una civiltà in orbita degradante e si avvicina il tempo in cui si spezzerà il filo esilissimo che ci mantiene sospesi fra le forze in gioco: l'attrazione gravitazionale, la spinta centrifuga a smarrirsi nel cosmo o precipitare e ardere in una rapida fiammata appena raggiunta l’atmosfera, i suoi strati via via più densi che ne disperderanno le ceneri, senza che rimanga nulla di rilevante. Incenerimento istantaneo, dopo una lunga agonia e tossicodipendenza globale per la quale non paiono esistere volontà o terapia di disintossicazione: c'è una pistola captiva puntata sulla fronte dell'ignaro mammifero agonizzante che nei suoi deliri di moribondo, rinnova la vieta fissazione di essere fotocopia conforme di Dio. 

Consideriamo anche le molte altre entità, oggetti ed iperoggetti, come li definirebbe Morton, risucchiate dalla medesima dinamica orbitale trascinando seco iposoggettività critiche ed entità non umane, di cui l’umanità è – come ci ricorda Braibanti – suo malgrado un segmento: nella fase di megalomania umanista, tipica di tutte le fasi iniziali di esaltazione narcotica, abbiamo creduto di non esserne parte, nonostante le larghissime esibite miserie che si generavano accanto all'accumulo di ricchezza; siamo parte di un groviglio di orbite basse, degradanti ad libitum. Quanto durerà l'infinito? (che è solo percezione o paranoia di infinito nella rota) Difficile a dirsi: qualcuno sostiene fino al 2050, nella forma in cui lo conosciamo adesso, ma è dal Grande Evento Ossidativo che la vita crea sconquasso, nella placida desolazione dell’Inorganico, e anche contro sé stessa; che genera nuove e lascia decadere vecchie orbite, come il cuoco pasticcione che mette troppo cibo al fuoco e fra i vapori, annebbiato, si assopisce e sogna la ricetta perfetta che non esiste, mentre mezze pietanze bruciano in padella. Tutto ciò che è vivo è protagonista di rivoluzioni e catastrofi, ne racchiude il movente fin dal suo primissimo discostarsi dalla materia inerte. 

La vita vegetale, come la descrive Coccia, riconfigurò il pianeta dacché emerse dagli oceani; la sua negoziazione infinita con il regno dei funghi, descritta da Sheldrake, creò le complesse micorizze arbuscolari e altri network fra regni diversi (vertebrati, invertebrati, microbi ecc…) in regimi variabili di cooperazione e competizione; la recente creazione attorno alle "domus" neolitiche, di campi di attrazioni multispecie, che descrive Scott, ricalca lo stesso schema: qui si innescarono contemporaneamente sia i primi processi di domesticazione, simbiosi e stock, che attrassero commensali — non invitati — attirati dall'abbondanza della risorsa facile, sia le prime zoonosi, i salti di specie, il parassitismo, le epidemie. Totale furia vitalista: inestricabili spinte alla conservazione e all'adattamento, la lotta contro l'entropia che crea entropia, come aree cicloniche dove si scontrano correnti fredde e calde generando uragani.

Quando Elon Musk – organismo vivente mosso da quella stessa furia vitalista insopprimibile– punta a Marte, punta a un futuro già scritto nella narrativa fantastica — così sono nati i miti? – Herbert non solo creò un mondo infinitamente più sfuggente e attuale di quelli prodotti in altre saghe titolate (penso a Tolkien) ma anche una prodigiosa profezia che si autoavvera, capace di suggestionare figure notevoli del panorama culturale internazionale, in primis Jodorowsky che impalcò un progettone che fallì sul nascere, le cui sole premesse hanno condizionato la fantascienza da quel momento in avanti; il sontuoso prontuario di quel kolossal mai realizzato – dove l'imperatore dell'Universo avrebbe dovuto essere interpretato da Salvador Dalì – scatenò alcune delle più potenti visioni di Lynch e, dall'incompiuta magnificenza (per questioni di budget) del Dune lynchano, si è sviluppata una linea di contagio che è arrivata ad investire oggi l’impavido – il folle? il masochista?– Villeneuve, spericolato come i suoi omonimi piloti, nel riprendere, rigenerare miti monolitici – come Blade Runner –  senza tuttavia, nel caso del nuovo Dune (che comunque mi è piaciuto moltissimo) riuscire a prodursi nemmeno lontanamente nelle visioni weird di David Lynch, l'unico capace di inoculare manie stranianti e tic nei suoi figuranti, delineare le gioie sadiche del Barone, dei suoi accoliti e dei suoi psicotici nipoti, in un impero neofeudale a diecimila anni da adesso, dove una sorta di multinazionale intergalattica, la Gilda, si permette senza troppi salamelecchi di dire all’imperatore dell'Universo “Taci! O passerai il resto della tua vita in un amplificatore di dolore”; non si tratta di dettagli di poco conto, in queste visioni è lo stacco fertile fra spettatore e opera, che permette la poiesis futurale, la fascinazione e la credibilità di mondi immaginari retti da leggi diverse e atavici, identici appetiti, che solo tramite lo straniamento costituito dai costumi, le scenografie, la gestualità, le azioni, il modo di parlare dei personaggi che lo incarnano, prendono vita. Ritengo che Villeneuve abbia trovato il "lavoro fatto" e per sottrazione ed espansione (il nuovo Dune è diviso in due capitoli) si è mosso in una poetica potente ma derivativa.

Tornando ad Arrakis, mi sono convinto, in virtù di una sincronicità del tutto casuale (l'aver veduto il remake di Villeneuve poco dopo aver finito di leggere l'opera di Negarestani), che sarebbe una buona cosa rileggere e/o rivedere Dune, prima o durante l’approccio al fantasmagorico Cyclonopedia: e veniamo così al secondo concetto (fra i molti: non mi addentro nelle complesse questioni numerologiche) il deserto.

Esso ci attende, prodotto finale della vita, lo spazio zero dove si formano nuove civiltà orizzontali, che demolisce idoli e occulta nel sottosuolo il cadavere oleoso del Sole di Bataille; l’acqua della vita di Arrakis è il petrolio terrestre alla rovescia: l'una è secrezione della larva del verme delle sabbie che si nutre di spezia (vita, origine), l'altro sedimentazione di cadaveri primordiali trasformatisi in idrocarburi, dopo essere stati a loro volta dissipatori termici, trasformatori dell'urlo solare da principio raccolto e trasformato dalle piante, poi dagli erbivori e infine dai predatori (morte, fine); alfa e omega trovano un grembo sotto il deserto. In Dune erano le grandi cavità colme d'acqua "milioni di decalitri". 

L'ibridazione definitiva fra organico e inorganico, fra magico e concreto, fra psichedelico e ordinario, fra vita e morte che si inseguono vermicolari in serie labirintiche di pieni e vuoti; fra lo zero immenso e l’uno monoteista delle religioni abramitiche in conflitto; nel deserto, nella sua grana pulviscolare, si erode ogni residuale dimorfismo, le idee binarie di maschio-femmina, buono-cattivo, bello-brutto, amicus-hostis, ecc… che da un lato ci semplificano la vita, quanto ci affannano nei confronti della complessità irrisolta di tutto ciò che sfugge alla catalogazione bipolare.

Nel naufragio della dicotomia, o meglio del focus strumentale sulle polarizzazioni, dimentico dell’infinito gradient fra di esse, riaffiora l'idea di declino permanente nella concretezza/impalpabilità delle polveri, camuffamento definitivo e ultimo segnale percepibile del ritrarsi ai nostri sensi dell'iperoggetto, sia esso fantastico o fattuale; nella sabbia di Arrakis la spezia, sfuggente e preziosa, nutrimento di Shai-ulud che naviga sotto il livello delle sabbie; la bamba-motore finanziario-status symbol che si cela nei laboratori mimetizzati nelle foreste boliviane; le nubi di cenere vulcanica che impressionarono Ruskin e Turner in quegli anni senza estate che funestarono il pianeta nel suo Early Antropocene nel XIX secolo; la Nebulosità di Bridle, esemplificata nelle formule governative che "non affermano, né possono smentire" nel data overflow non più umanamente elaborabile; il kipple (la palta, la polvere) di Philip Dick, “le ceneri di questo pianeta” del best seller di Thacker… la viscosità dell'iperoggetto che si ritrae, inaridisce e anziché invischiarci come insetti nella resina, rampolla pulviscolare disorientandoci dai tempi del Dust Bowl de "L'urlo e il Furore" di Faulkner, fino alle tempeste di polvere in "Interstellar" di Nolan. A noi non resta che la fuga, strizzare gli occhi, guadagnare confusi uno sperone roccioso, un riparo, un anfratto.

Finita la tempesta, il deserto ci lascia, come in certe cure palliative, la liberazione di percepire nitidamente un termine ultimo e indifferibile, un finale chiuso che retrocronicamente offre n possibilità di essere perseguito, sognando di aver percorso carovaniere desuete e sostato presso oasi e insediamenti di inaspettata prosperità dove furono intessute forme eusociali e politiche che non replicarono il contratto fraudolento fra primati infidi e feroci abbandonati alle loro fobie; non necessariamente la democrazia come ci è stata propinata, ormai alle corde; ma tutto questo è già non-accadutoe allora cosa fare? 

Come dice la Abramovic “process is more important than the result”, perciò cosa contano il passato e il futuro? Altre dicotomie sfinite: la nostra utopia di tossici è in una diversa linea temporale, nel multiverso, nelle fantasie di uno scrittore che forse intercetta e trascrive cronache di un altrove insondabile dai tempi dell'Interzona; o nell'incompiuto capolavoro pasoliniano, che si intitola appunto "Petrolio".

Nell'azzeramento desertico è il punto di contatto\collasso dei multiversi, si azzera il tempo, i confini perdono significato; il declino diventa infinito perché rallenta il suo moto circolare e riprende corpo l'attesa messianica, superata la soglia del dolore, trepidante perché è il sentire di disillusi e astinenti senza scampo, svuotata di cerimoniali, tesa e immobile; scaramantica perché guardinga e solo i piccoli segni, come indossare correttamente una tuta fremen senza averlo mai fatto, acquistano rilevanza. Il deserto è il luogo dell'iperstizione, la tana dell'iperoggetto, la coperta ondulata, morbida e ostile sotto la quale sappiamo esservi acquattata la verità.

Mi appresto a concludere, ricordando un’altra pellicola iperstizionale degli anni Novanta del secolo scorso, dove queste tematiche vengono anticipate e si riannodano nel contesto della banlieu parigina: “l’Odio” di Mathieu Kassovitz. Il leit motiv del film “Fin qui tutto bene: il problema non è la caduta, ma l’impatto”  riecheggia il declino infinito di Negarestani.

Altre attese si accalcano sul punto zero: Elon Musk che colonizza Arrakis/Marte portandovi un’ordine cleoniano, con lo stesso stile impeccabile ma anodino che hanno le sue vetture; la fuga tragica e demenziale a bordo di una gigantesca cosmonave da crociera, come in Aniara; fusione nucleare + ego dissolution in una botta sola e letale di speedball; acidissima e aristocratica, sua santità la Singolarità bonaria o in altre parole l’umanità che partorisce il suo Dio?

Come Pardot Keynes, l'ecologo imperiale, osservo ed elenco alcuni dei molti declini, dei molti immaginari, il loro intrecciarsi e confliggere e sento montare su tutto la paura di impazzire, la paura del dolore. La paura che uccide la mente, si ripete come un mantra Paul Atreides, addestrato da sua madre, Lady Jessica – appartenente alla sorellanza Bene-Gesserit – a padroneggiare la più antica e potente delle armi, la Voce, violando il patto con la sorellanza, e come si sa, solo attraverso la violazione del sacro precetto innesca il cambiamento. Le grandi saghe elaborate sul finire della civiltà sanno guardare al principio con la stessa intensità delle epopee primigenie, come lo sguardo di un morente che ripercorre si dice, tutta la vita prima di spirare: una parola detta o non detta, può sollevarci o distruggerci, pur non essendo nulla, nulla di fisicamente rilevante, se non vibrazioni che si muovono nell'aria. La scatola del dolore dove la Reverenda Madre Gaius Helen Mohiam, invita l’ancor immaturo Paul Atreides ad infilare la mano, che egli sentirà ardere e scarnificarsi senza poterla ritrarre minacciato dal gom jabbar, non contiene nulla in realtà, e la estrarrà intonsa. Solo la voce ci condiziona, ci minaccia, ci domestica; ed è sempre una voce a guidarci nella tempesta, nelle nebbie, una voce sconosciuta.



venerdì 12 novembre 2021

Dunque, dunque, dunque…

 …vivo (perché per ora sono indubitabilmente vivo) in un ambiente sociale nel quale ho fatto terra bruciata, ancor prima che la terra fosse terra da bruciare; nel quale non si esita a chiamare in causa la deontologia o la privacy quando la struttura stessa di codesto ambiente è data dai "cappottini" che si cuciono sul tale o la talaltra (incluse le infinite gradazioni fra i due poli del sesso noti, e a dispetto di ogni convenzione per definire l'indefinibile o, infine, l'inaccettabile, ma sto andando off topic), 

dunque laddove la deontologia lo impedisca vi dovrebbe essere, in una cittadina chiacchierona e stancamente cinica, il bisbiglio, il "io non ti ho detto nulla ma…" e quando questo manca, paradossalmente manca interesse, manca amore seppur morboso, manca partecipazione a quegli affanni che tutti noi accomunano.

Devo parlare ancor meno con i miei concittadini, specialmente con coloro che si definiscono per consuetudini ormai esauste "amici di lunga data";  robe patetiche e ipocrite come certe rimpatriate deliranti fra compagni di scuola delle elementari: che ricordo nome per nome e per tale ragione ancor più gioiosamente relego all'oblio, accettando il rischio di perdute serendipità. 

Si è nuovi con chi è nuovo: persino portandosi dietro un passato, o per meglio dire una zavorra di fallimenti, di miserie, di stupidaggini, con tutte le distorsioni che questo esercizio richiede. Le ginocchia si deformano sotto il peso delle nostre vite: diventa grasso viscerale, liquidi che s'insinuano fra gli organi fino a renderci compiutamente disfunzionali. La "deontologia" non c'entra un cazzo, perché il pettegolezzo  è più potente di ogni formalità posticcia; perché i canali per l'acquisizione dei dati su chicchessia, sono infiniti (se si vuole) e sapere della condizione di un vecchio amico in una cittadella chiacchierona, quando altre e personali problematiche non eclissano la questione, è relativamente semplice. Se nessuno sa di te è perché se ne frega; e mi sta bene. Basta che ciò non mi impegni in un dibattito vacuo, tanto per riempire l'aria fra chi conversa.

Finora ho avuto esempi di interesse, rispetto alla mia condizione, guidati dalla preoccupazione di apparire integerrimi, tipica dei provinciali. È una gamma emotiva che comprendo, e che accetto, in quanto anche io provinciale, afflitto da "inprintings" di matrice cattolica; da sensi di colpa; da qualcosa che non è mero condizionamento o domesticazione, ma s'insinua nella fisicità della vita, nella materia organica, che è percepibile dal mio organismo sotto forma di tachicardie, incubi e risvegli precoci, allucinati,  prostrazioni, affaticamenti inspiegabili, dolori al nervo sciatico …e una congerie di malanni che non sto qui a elencare, ai quali i medici non sanno darmi motivazione. O meglio: una solo motivazione, la mia ansia-paranoia costante, sovralimentata, inesauribile.

La "depressione" intesa nel suo quadro classico di sintomatologie quali inattività, del sostare nel letto in preda a un umore "lattiginoso" che non concede distrazioni, né requie, senza offrire vie d'uscita se non altrimenti uno stato soporoso, sarebbe sufficiente, anche senza riscontri fisici; anche senza riscontri cardiaci; anche senza riscontri nervosi. Invece no: il patimento al pari dell'estasi delle sante, coinvolge il corpo in un'estasi negativa, a dimostrare per l'ennesima volta, quanto sia sciocca la dicotomia anima-corpo, spirito-materia. Chi ha intuito questo è stato ben lontano da sciogliere l'enigma, ma perlomeno ci ha indirizzato verso una riconciliazione, della quale probabilmente genetisti, neurologi e filosofi di concerto, sapranno darci ragione nei secoli a venire.

Restando al quotidiano: ho perso la pazienza, dote dei saggi, categoria alla quale non ho mai aderito; la saggezza mi sta sul cazzo e anche la ponderatezza che non mi appartiene fisiologicamente. Sono un tarantolato, e quella roba là sono lussi da "risolti", coolness che riesce bene a chi ci è è portato, o volendo esser cattivi (cioè prigionieri dei propri pregiudizi) da pien di sé. Il lusso non mi appartiene senza che io lo disprezzi. Disprezzo la boria; disprezzo recisamente l'ipocrisia di chi mi definisce "incapace di accettare la trasformazione e il dialogo". Mi trasformo e dialogo con chi cazzo mi pare. Disprezzo l'ipocrisia di chi si cela dietro principi posticci come le barbe di carnevale, per negarmi il diritto di essere vicino a chi credevo amico. Disprezzo – non odio – perché in queste manipolazioni maldestre, in queste vie di fuga prêt-à-porter, sono le fragilità che ci corrodono, ciascuno di noi, come specie funambolica fra il primate furbetto e una distorta idea di divino scadente, cui aspiriamo fra un bagno di sangue e l'altro; e nessuno vuol rendermi giustizia, nella mia volontà di essere altro, nel mio tentativo furioso di essere altro da ciò che ero, e in cui mi ero volontariamente, ostinatamente, pigramente, imprigionato.

L'amicizia si sfalda come una medusa al sole, fra quei riti probatori, fra i conciliaboli dovuti e le bevute: in quest'arida esposizione di egoismi, di priorità, di malanni, emergono inattese le profferte di pochissimi, inattesi, privi di qualsiasi credenziale data dal tempo, dall'assiduità, dalle affinità. Splendidi enigmi di amore senza contropartita, epifanie corroboranti e inattese. E qui mi fermo perché chi vuol capire capisce e come diceva quella triste battuta: chi ha da intendere, in tenda, gli altri in roulotte.

Brutta, eh?! Stateci voi a Pistoia: provate a star male qui anziché in posto con tutti i crismi del dolore, che perlomeno si sta male perché è palpabile uno schifo manifesto e magniloquente; provate a essere testimoni ogni giorno, dell'ipocrisia, dell'indifferenza, del malaffare occulto, dai livelli più basici nei rapporti interpersonali dove prevale un cinismo fiacco e sprezzante, a quelli con le istituzioni, inaccessibili, corrotte, arroganti, massoniche, pubbliche e private…provate a essere testimoni della morte del vostro babbo, dopo dieci giorni di cure intermedie in un lager; e poi quando vi risvegliate come la statua di piazza Garibaldi coperti di guano, e parlate con un presunto "amico" trovarvi accusati, di particolarismo…Mentre la merda acida del piccione vi cola in un occhio e dopo il salutare "vaffanculo", piangete una lacrimuzza senz'astio, come a liberarvi di un corpo estraneo.  

Nel frattempo dalle colline della follia, si viene rimproverati di non voler accettare dialogo e trasformazione, proprio da chi ha fatto del "trasformismo" e della negazione di ogni dialogo autentico la sua bandiera, senza rendersene conto. E quindi dopo un'ennesima serata trascorsa nel merdaio,  rimuginando su tanta spazzatura, ancora di più mi convinco nel mantenere una linea retta, "der gerade Weg", nel nichilismo,  nella rinuncia ad aspettative irreali, nel rispetto residuo di me come organismo e di quegli organismi che accanto a me sopravvivono, evitando al massimo ogni relazione con i miei concittadini, specialmente coloro che si dicevano miei amici (non tutti, ma la maggior parte).

Non è la prima – non sarà l'ultima – potatura drastica che l'albero malato subisce. Non ne verrà gran danno nemmeno se l'albero muore: l'importante è che il male non si diffonda. È questo scarto elementare fra capricci intrisi di liberalismo farlocco e rigore biologico che ci distingue ora.



sabato 2 ottobre 2021

In Dreams

Divinità empie e telluriche puniscono la mia malvagità. Racconto a mia madre di quando, da bambino, menavo un mio compagno di giochi più piccolo perché mi irritava il suo modo di baloccarsi. Lei inorridisce e, al contempo, si avvilisce perché non si era mai resa conto. O forse è uno di quegli infingimenti della memoria che ci consentono di proseguire la vita anche se sprofondati nella miseria umana. 

Poi ho sognato di essere in una via del centro, ancora lastricata dal pavé a lisca di pesce, com'era un tempo, le rotaie del tram dismesso, un ampio tratto sventrato da lavori di manutenzione, tubature come viscere che fuoriescono dallo squarcio, longarine rugginose e, di fianco una cospicua cacata di cavallo, sparsa e spiaccicata dai passanti, dalle auto, che scanso salendo sul marciapiede. Mi vengono incontro due ragazze giovani, molto belle, che indossano minigonna e stivaletti bassi, neri, con la zeppa: stanno mangiando un gelato al cioccolato, forse alla nocciola: passano in mezzo alla merda ridendo per la somiglianza del loro gelato con gli escrementi. Ridono scioccamente, ma a differenza del mio solito, mi fanno simpatia. Una di loro, mentre lecca il gelato che cola lungo il cono e la sua mano, si china e, usando la lingua a mo' di pennello, mescola gelato e merda liquidi per tracciare un grande disegno sulla strada: con un movimento fluido, continuo, quasi stesse pattinando, tratteggia la sagoma stilizzata di un grande pesce; la guardo con ammirazione, per la maestria zen con cui disegna l'animale e il coraggio per aver leccato la strada sozza di merda con tanta grazia e indifferenza al disgusto. Ne sono così impressionato, tanto che mi inginocchio nella merda; alla maniera hindu, giungo le mani in un inchino e tocco il suo piede in segno di rispetto, ridendo di gioia, e lei giungendo le mani e facendo a sua volta un breve inchino, mi ringrazia. Poi se ne vanno, lasciandomi ammirato, felice.

Gli Arroganti

Eh no. Stanotte non si dorme. Nonostante una buona dose di ansiolitici. Una giornata serena voltata in merda nell'arco di poche ore, per via di quel carattere infestante, nell'umanità il più diffuso, che è l'arroganza. Come si diventa arroganti? Basta pochissimo: un piccolo successo professionale, una persino modesta agiatezza, l'adesione a un modello sociale tipo "coltello fra i denti", un'ostinata e ottusa fede in sé stessi. Il confronto con l'arrogante per chi, come nel mio caso, è da sempre corroso dal dubbio (dal dubbio sulle proprie competenze, capacità, da una colpevole debolezza, da una certa viltà anche e al contempo fastidio per l'unanime sicumera d'individui che condividono, nella maggior parte dei casi, la mia stessa miseria umana) è un confronto dove sono inevitabilmente destinato a soccombere, perché ne uscirò consumato, stremato dall'ira, dalla paturnia, dalla paranoia. E mi ritrovo in un roveto ardente di ruminazioni mentali, dove mi chiedo se ho ecceduto nel difendermi o nel subire l'arroganza altrui. 

Interessano dettagli? Non penso. A chi può interessare in questo verminaio di un tizio che a cinquant'anni, fallito pressoché in tutto e sfinito da una malattia cronica, torna a vivere con la madre semi-inferma, afflitta a sua volta dalle proprie paturnie, dalle proprie insanabili e strutturatissime fisse, come lo sono le sue incurabili ulcerazioni cutanee. La pelle e l'anima che si specchiano, il corpo e l'anima che si specchiano: ci siamo arrivati infine allo scioglimento di questo dualismo cattolico, che teologia e filosofia di parte da secoli ci propinano. Corpo e anima sono un unicum, un sistema labirintico, tarli che si divorano le reciproche sostanze, dove la mente ha un predominio indiscusso nel rinforzare questa macerazione infinita. L'antidoto della spensieratezza, che sanifica il cuore, non a caso perseguito con accanimento dalla farmacologia, dall'alchimia, dalla preghiera, dalla scienza, con ogni mezzo, dalla meditazione agli psicofarmaci. L'abbandono di sé, certo…il distacco. Il distacco è l'argomentone dell'arrogante: come lo stilita, dall'alto della sua posizione, egli si concede, anzi si arroga, il diritto e dovere di praticarlo, con sprezzo (mai con sprezzatura che, come insegnava la Campo, è rivolta verso sé stessi, esercizio di basso profilo, il pudore nello sminuirsi di chi è grande) - il distacco dell'arrogante non conosce empatia. Non è l'abbandono compassionevole delle discipline orientali. 

Il distacco dell'arrogante è il vestito buono del menefreghismo e, sospetto, di una forma sadica, magari involontaria, di mortificare il proprio interlocutore, di scambiare la gentilezza per debolezza, di scambiare la schiettezza per un oltraggio alla propria infallibilità.

A volte penso che per me e mia madre, data la totale inutilità sociale maturata in questi ultimi anni, lo sfinimento delle malattie, l'evidente fastidio di cui siamo cagione per parenti e amici (pochi) per non parlare di quel relitto razziato e alla deriva che è il sistema assistenziale socio-sanitario, popolato nel novanta per cento dei casi da individui in burn-out, altrettanto sfiniti e resi insensibili a ogni richiesta di aiuto, a volte penso che sollievo sarebbe per tutti la nostra scomparsa. Persino per noi stessi, finalmente liberi dal dover chiedere, dal dover bussare dove non vi sarà aperto; oggi mi si rivela nell'arroganza di uno dei tanti arroganti che popolano il pianeta, che persino pagando e salato un servizio, si dà noia. Perché l'arrogante non comprenderà che il rilievo critico non è mosso contro il suo operato o la sua persona, ma è un'osservazione oggettiva sull'inefficacia di un metodo. L'arrogante non riconosce il dolore altrui come non riconosce il proprio limite. In questo mondo di infallibili, di padreterni e madreterne, mi chiedo come possano sopravvivere anziani o persone poco istruite, o limitate da qualche deficit cognitivo. Credo che, senza sporcarsi le mani, avvalendosi di una burocrazia ipertrofica, dei paraventi di regolamenti e procedure, molti siano lasciati morire. Gente del resto che (come diceva un'amica della mia ex-moglie) sta al mondo per consumare ossigeno. E perciò oggi mi sono ritrovato a invidiare i cani, che perlomeno dal veterinario, sia i privilegiati che gli sciagurati anche fra costoro, possono godere di un'eutanasia rapida, indolore, senza ipocrisie, senza il coinvolgimento di una "coscienza" o di un' "etica" che sono sinonimo di un bel culo da parare, per apparire (soltanto apparire) integerrimi. 

Esagero? Esagero sempre, ma evidentemente non troppo, visto che sono ancora qua: non ho aperto il gas, non mi sono legato la cinghia al collo o ingurgitato il fatale mix di farmaci; mi salvano ancora il dubbio, la viltà (o fierezza antieroica? o paura di morire? nonostante il disgusto e l'inutilità della mia esistenza) la distanza incolmabile dalla retorica e, infine, la rabbia che mi tiene desto a quest'ora, nonostante, dicevo una buona dose di rivotril. 

Per chi come me, si trovasse in questa condizione penosa, posso suggerire un paio di rimedi a buon mercato, per evitare di spendere altro denaro fra ciarlatani, counselor e strizzacervelli: camminare (come insegnava Thoreau) camminare tanto, almeno cinque, sei, anche dieci chilometri al giorno; il corpo che come è ormai noto agli sgamati, è tutt'uno con questa stracazzo di anima che ne è tutt'al più un "impregnante", spurgando tossine e sudando, spurga la frustrazione del confronto impari con l'arroganza, l'eccesso di rabbia; ahimé, se si supera una certa soglia di giramento di cazzo, il cortisolo non completamente viene riportato a livelli di guardia, anzi forse lo sforzo di camminare aumenterà lo stress e così a cascata le palpitazioni, il gonfiore, il turgore di tutto fuorché il cazzo. Per chi è in ottima salute e giovane, la sbronza. A me fa ingrassare e ingrossare il cuore già dilatato e spompato quindi è proprio una extrema ratio che ormai ho pressoché abbandonato: poi ti ritrovi a fare autolesionismo o litigare per futili motivi; tutta roba che richiede fisico e …arroganza (o per meglio dire, sfacciataggine, roba sana, da ribelle e giovinastro). In questo stato di apprensione non si legge, si diventa impermeabili a un buon film, o se si legge si compulsano avidamente incomprensibili supercazzole mediche, elenchi di professionisti, su gli ormai inutili motori di ricerca diventati centri commerciali: allora meglio scrivere, scrivere "rant" come li chiamano gli intellettuali hipster (ve ne sono di altro tipo? forse qualche sparuto esemplare di disadattato, farneticante ancora salva la categoria?). Quindi tenere un blog come questo o un diario, per chi ancora sa scrivere da amanuense (non riesco più a tenere una penna in mano da anni, e quando scrivo mi produco in geroglifici oscuri persino a me stesso). Sono fori nella pienezza del corpo di sasso che ne impediscono l'eruzione esplosiva. Per una vulcanologia dell'essere umano, il magma di una glossolalia contagiosa, capillare. Sono sfiati, così come si rutta, si scoreggia, si frigna, si tossisce, si espettora, si cola muco, sborra, merda, piscio. Pus, poison, blood, shit. Non si può tenere tutto dentro, si è soliti dire, ma non perché "dentro" non c'è posto. Esiste poi un dentro? O è solo il fuori - la grande testa, i grandi occhi – che introiettiamo provvisoriamente dalle cavità sensoriali di questa vescica di pompe e vasi, al quale conferiamo consistenze e forme e suoni utili al nostro coscienzioso smarrimento? Improvvisamente tutto è oscurato dalle ruminazioni, dalle paranoie incallite, che in questo processo, come il calcare nella lavatrice, ci incrosta, formando concrezioni, isole, chiazze di sale del mar Morto, che riemergono talora come enigmi, come scopi di vita irrisolti, a cui una molla di autentico masochismo spinge a dare soluzione per affrancarci dalla ruota del dolore. Per credersi risolti: molti rimbombati ne sono straconvinti, di essere risolti. Se si crede nella reincarnazione è piuttosto plausibile: come un videogame a vite infinite, muori e rinasci finché non risolvi lo schema precedente. Io non ci credo. Anzi mi fa orrore, perché in quale forma e in quale epoca riapparire? E infine mi pare che lo sforzo per risolvere l'enigma non faccia che renderlo ancor più nebuloso; il "pensiero laterale" si disattiva e con esso la buona intuizione; l'abbandono allora…l'abbandono, che ho praticato fino a sbracare, fino all'obesità, fino al delirio persecutorio. Quello mi ha fatto apprezzare la volontà che, se ci pensate bene, è l'unico vero libero arbitrio. Nulla a che fare con l'arroganza, col pensiero magico di stocazzo. Sono conquiste di formica, vietcong che scavano a mani nude tunnel sotto il culo blindato degli invasori che si spacciavano per liberatori. Roba davvero underground.

Not for arrogant, just for insane.

… e anche la celebrazione della follia come valore…mah, che palle…devi prima smantellargli tutto il marketing e poi lasciar decantare solo il disagio (avevo scritto dolore, ma mi è apparso il tizio crocefisso e lo zaino di sensi di colpa che ti regalano quando ti associ al club)



mercoledì 15 settembre 2021

La vita ci sorride alle spalle

È fisiologico, come la pelle che si inflaccidisce, portiamo il peso sulle nostre spalle del trascorrere, lo zaino di livore, frustrazioni, occasioni mancate per pigrizia o per arroganza; mettici i dolori, le malattie, le perdite irrimediabili che a tappe costellano la vita, quelle note (i nonni, i genitori, talvolta qualche amico) e i “cigni neri”, le disgrazie improvvise; però anche senza drammi eccessivi, questo vivere in attrito ai giorni, per sfregamenti, si produce in un logorio, che non richiede particolari eccessi e vite spericolate; anzi spesso è li, dove un cuscinetto non viene da tempo lubrificato, o un freno a mano impercettibilmente tirato consuma i battistrada, che ci lascia scalzi e miserabili la vita, per quanto tutto il nostro ambiente affermi il contrario. Sono dimenticanze, mancate manutenzioni, nelle furie dei giorni. Nonostante si abiti luoghi ameni e pacifici, anzi a maggior ragione, si diventa ermetici, uggiosi, infine nebulosi. Si vorrebbe che questa bruma degli anni, queste fumigazioni di parti meccaniche in sofferenza, non venissero mai a offuscare l’AMICIZIA che si sostiene unanimemente essere un patto inossidabile, esente dalle temperie che si è attraversato e che, in larga parte è così; o così ci piace raccontarcelo in ossequio a una tenerezza egoistica per figure del passato che hanno il merito indubbio di rendercelo vivo. Un'avaria empatica, di occhi negli occhi, voci su voci, che si intrecciano senza età, senza il rosa delle cicatrici, il viola e il nero delle piaghe, il bianco giallastro delle callosità e delle pelli secche…colori, dolori. 

Una tosse che mescola catarri di nicotina geologici, un fiato greve di dentature scollettate, o spezzato da brevi salite, dove la voce si opacizza, le parole stese sul filo come panni che sibilano o sillabano al vento, sussurrando moccoli e pianti a cadenzare passi grevi, il torace che si piega in dentro, quando, di ritorno dalle passeggiate, abbandono ogni spavalderia ortostatica, ogni apertura che giovi al moto delle clavicole, al coinvolgimento dei lombi, dell'addome…

Il ricordo, specialmente quelli piacevoli della giovinezza; ma chi ritroviamo una volta ritrovati i “vecchi amici”? In realtà è un azzardo come coi nuovi; sotto patine bonarie alligna la finzione, e coi nuovi succede spesso, considerata l’epocale propensione alla retorica, alla doppiezza, alla nebulosità, che in questa nebbia anche i nuovi come i vecchi diventano fantasmi, proprio nel momento esatto in cui si palesano; e io agli occhi loro, carcassa di qualcuno che non esiste più da tempo; come un insetto che si affanni nel tentativo di indossare di nuovo la sua crisalide. Cosa resta nell’immediato se non l’inconsistenza di questo agire, che definisce e conclude tutto il nostro essere qui ed ora? La luce affettuosa dei ricordi che si evoca, trapela velata dai vapori di cui sopra; in taluni e avvilenti casi, del tutto eclissata. Permane la sterile e ostentata rappresentazione del come siamo ora, e ora, ecco la gran scoperta dell’acqua calda e dei suoi vapori, non siamo nulla. Non ancora: esistiamo solo come accumuli spettrali, disordinati, contraddittori di repulse e perdoni che si risolsero in silenzio tombale, politraumatizzati fra aderenze e scollamenti, proiettiamo un’immagine diafana; emergiamo dalla nebbia, spesso per esprimere il solo nitore della nostra malvagità; abbiamo ad oggi tante scuse: il covid, l’isolamento, che fanno da cassa di risonanza atroce alla totale ingovernabilità delle nostre vite. Alla fine l’emersione del primate (geloso, invidioso, furioso, stupido, della sua inservibile limpidezza) è l’unico tratto autentico e positivo della “rimpatriata” e si può tornare a casa confortati nella nostra scelta di romitaggio. 

sabato 4 settembre 2021

L'istrice

Cammino grande, di istrice che scuote le punte perdute, istrice glabro che s'immagina capellone e innamorato, mentre il mondo vomita i suoi primati. Un aborto di grida senza il nonno, i padri occupano lunghe panchine nella nebbia, nessuno di questi è vivo. Puoi vederli ma non puoi interrogarli. Bioluminescenza: dite sia sciocco parlarne per degli spettri? È quel pallino residuo di fosfeni che indugiava al centro dei vecchi televisori; una radiazione insistente e impalpabile che ti restava negli occhi. Come vorrei abbracciarvi di nuovo tutti, raccogliervi come l'erba secca,  a fasci, mietervi come paglia e stringervi, proprio lì dove ho cercato di fare il bozzolo più e più volte; dove ansimavo, e quelle risate e quei pianti che mi passavano da una parte all'altra come le sciabole della scatola magica del prestigiatore. Le vicissitudini di chi subisce una metamorfosi in una forma passata (regressione con capelli e barba) diventando poi di paglia, di polvere, di vento, di sonno: queste sono alcune fasi che precedono lo smarrimento. Ma non c'è Dio. Non c'è positive vibration, non c'è nulla di onesto nel veicolare l'acido, nel trasformare un'esperienza illimitata in un playground da studentato americano, un focus sui tuoi progettini di merda. L'autista lo paghi per farti rapire, non per andare alla spa, non per fluttuare in una floating tank;  e ripetere pedissequamente un manuale talmente abusato da sbriciolarsi, un rito afono, scordato come il pianoforte delle Ville Sbertoli. Erano i padri, le amanti, gli animali, tutto quello che è stato perduto senza rimedio, da piangere senza ritegno, e non trasformazioni fasulle: la grande metamorfosi del primate in Terra e paglia, dell'istrice che caracolla al Parco della Rana, accompagnato dal suo nocchiero, non hanno nulla a che vedere con le caccole di Pollan, con i suoi salottini con le lampade di sale e le campane tibetane, con i suoi farmacisti che trasformeranno la medicina in veleno, senza rendersene conto, con le migliori intenzioni. Gli istrici muovono scuotendo verso il confine della Selva ultima; ora sono nudi e la loro pelle è grinzosa e le dita sono di cera: convulsioni scuotono le gambe, grandi pisciate. Subiscono processi di delaminazione cutanea. Sono xerotici, seminano le loro spore in una mutazione che ci rende ospiti dei vari regni per riportarci al lettuccio di casa, sotto il quale ritrovo gli occhiali che avevo inglobato nella mano. Il lettuccio di casa, il letto dove siamo stati bambini, poi amanti, e dove siamo morti mille volte.

Alla finestra di Napoli, è accanto a me il nocchiero: mio padre, mio nonno, il ragazzino è cangiante e radioso. L'aria è piena di ocelli, veniamo osservati dal mondo, nella nostra inadeguatezza, nella maldestrezza, nel rischio un po' stupido di chi si getta nella mischia a infradito (come as you are). L'aria è di vetro soffiato e olio…non puoi programmare all'infinito un decollo di questa portata, e ogni volta rimandare, dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo essere stati rintanati nel terrore e consapevoli che è solo l'inizio di un'era oscura, di un inverno della coscienza collettiva. 

 

OIL EMANCIPATION

Introduction to oil emancipation



Faster than the dark - friend of asymmetry - cross-eyed perhaps, the web of the dark - cross-eyed with his hand on his cock - to look for unhappiness, or it would be better to say nothing - not to be happy - not to be sad - to appreciate and fight decay - listen to the landslide - the silence that submerges has the shape of mud - the presumption of a strangled mistress in her role as a hangman who laughs and does not come down - and does not come down from her gallows - Long live your face - boredom has the gaze of a sperm - perhaps the last shot in the barrel - of someone who has become - tragically ordinary - of someone who has chosen the path of the caterpillar - a supermodel walking around with a garbage bag, ordinary, sloppy and sublime - empty the tears in the toilet - a greasy vortex, the dark and still ocean, five in the morning - the air sucked in by the sun tastes of rotten lemon bitter mouthpiece and grappa stench of shit - tearing off your underwear and discovering yourself as a doll - cardiotester, gymnastics, diet and darkness. I wake.


Oil Emancipation



A)


Trembling, red-painted nipples - rigged up like mopeds, or like police cars - threatening and steady the trap looks at me, my severed paw, rough tongue, the whore's teeth, obsidian wigs, institutions & prostitution are wandering, vertigo and color TV watched from behind, on the wall ... and I am the shadow cone and also your mouth and shadow cumulonimbus on the foreskin and then precipice, crumbling rocks, waning charisms, Duci with dwarf arms simulate screams speeded up to 45rpm and rockstar peas but they look like underpaid fans and maybe yes, satisfied - the historic mustaches erupt democracy, audience pockmarked in applause: seriousness, responsibility, alignment and ecstasy - mustache that leave miraculous lipstick stains on porcelain coffee cups madonna \ crying - if you cry, if you laugh - only Gino [Gino de Dominicis, artist] made her laugh! One cannot continue to worship broken-hearted people or break them by continuing to deify them, no! No! No! The time has come to crucify buddha and see his idiotic smile turn into a scream - the exchange is the basis of nature and its processes - your trusted FIAT mechanic says so too - and the trial is either lost or won or X - the lawyer is just your expensive and, they say, living prosthesis - human and self-conscious tape recorder, silicone of criminal tits - subjective of street urchin on a scooter through the alleys - the only light of the headlight illuminates the tourist with wide eyes - you make me urinate champagne! - naked women take refuge at his feet - meanwhile in the countryside a carousel of chlorine from a swimming pool sterilizes a thousand hectares of land, and in the pool stay dry on dusty mattresses, two pseudomillionaires, with cigars next to dead whores at dawn on the bottom, between the blue lines that move the mosaic - byzantine? No, it is the hierarchy that swamps with gold and dark circles to its peak - life is rather caravaggesque in its resolution from these premises - emerging from the dark, deflowering in the dark undulating and without malice - just so much good spreadable pettiness  for your champion's snack - a football champion with dirty chocolate lips holds a little girl in his arms and, as Lenin, points to the future (with a booger on his finger).

      

B)


Tourists and futurists gasp in Venice, while neo-Renaissance Florentine Olympians, Nazis & anal bartenders moan six-thosand lire for an artificial food from an electron microscope behind their marble face of smog and anglobarbaric - vulgarity of the Lower Empire, all the trunks with the "e" basically - do yu wante and sendwicce? - pagan fools invoke blessings - gout bought all their shares & joints while sacrificing oxen every day to their god \ stomach - Stomachious divinity - Venice and Florence try with all their stinks & dialects to chase the stranger - thousands of people who divorce simultaneously, anatomy and detachment, vivisection of hearts \ latrine - apartment blocks burdened by silence and hatred for animals, surrounded by pestilential racetracks, coin mints obtained from the facilitated and involuntary scrapping of your car, drunk and bleeding coinage, a face of flesh planced in profile, engraved and embedded in the sheets, more beautiful than the Nike of Samothrace, a unique bruise from the beak to the hair that detaches like flowers from the mud - black stems - centrifuge of miseries and forbidden children - the ambulance is carved in the bottom of the traffic jam and refined restorers prepare their spatulas to detach the human and already dead fresco from its cheap steel niche - more than a coffin it would take an envelope, perhaps those with bubble wrap or a tube for drawings - meanwhile, the sergeant scrounges a marlboro to the dead, drives away the curious - smell of pastry shops - orange darkness - tourists stride with legs as naked and twisted like albino olive trees the restricted traffic areas, the pedestrian areas, the mausoleums, the rich & poor thieves, their forgettable successes, a juggler, a fortune teller, some recruits in overnight pass, toothless and cellophaned short hairs, drift away convinced they’re gone to have fun, behind president of the republic’s back, who smirks from a photo, supplying old-fashioned uniforms; the parliament pretends to vote, LSD rains on Rome and the supporters burn like bonzes - wars are faxed at low resolution, small squares and pixels that accentuate the unreality - the informative imagery comes out 140 words per minute from human and liquid animated mouths on flat-colored backgrounds, drawn eyes, fake nose, tits, and sautéed beans - a decade of pan-fried leftovers with peanut butter and other American craps; a decade of photocopies with endlessly finished toner; a decade of casts of blocked ideas of invented novelties; a convenient decade: all the other decades for the price of one, a trench called eclecticism welcomes everyone from the sincere doubtful to the tiger shark and the Tigerman does not fight anymore against evil, but parcel out a lot; a decade like a meatloaf after the grueling gastronomic week of the twentieth century, the one that mounted turbo intercoolers to the donkeys with the barrow without anesthesia, which deodorized the proletarians and peasants with propane, which gave them ideals to fight for with "Baci Perugina" and a hundred floors of water and sugar houses where every fart is a village feast and hatred in the spinal cord counts every blackened red blood cell and threatens "The day will come…." and the day came - a tumultuous eclipse exploded the bubo of sun shattering the thousand twentieth-century plasters, the purulence flooded with fresh blood crackled overwhelmed, as by magma - Etna exploded ashes, flowers and snow - symmetries revolted like wounded cats and show dogs tore the masters' arms with gold watch, filed nails and tin trophy in hand - the walls bulged lard with faces of acquaintances and enemies to candor it, caps of carabinieri in the air like grain, the wisps in the eyes with quick setting blinded pilots of 'blue car” and the senator, prime minister and lackeys were beheaded on the run from a Royal Army helicopter paddle - a remnant of Fort Lauderdale actually, from when fighters were being swallowed by the Bermuda Triangle and Bermuda shorts were trendy shorts for a twist on the yacht twisting copper-leg and all this was decidedly sexual, prosaic and macho and the colors were less gray and the ocean for our cruises were a suggestive blue industrial menstruation, painted blue with the appropriate and harmful dye - in the Sixties everything was more rosy, even cooked hams - cigarettes were elegant, petrol had more lead than a gunboat, Mosche Dayan was a hero - even Kennedy - now we got our work cut out, tear off this chewing gum from our soles, all squashed as it is, melted with third worlds and teary eyes - we got our work cut out saying “we are too many” as long as spaceships for emigrating are inconceivable, as long as Einstein's ghost teases us and jokes "the speed of light is not reachable, can not be exceeded." But the speed of darkness? Have you ever wondered? The black matter… the oil ....


 C.

Falling in love with a sweet nocturnal oil, she spent all the sunsets on the faint X-ray of a lamp, a match that as soon as it was struck emitted a red cartoon of decadence of the sun with the words "I lived for art ..." - an ephemeral balloon of flame and lit the stinking light of life looked at him without giving in to the temptation to finger him, once he burned his fingertips, grilled fingertips, great gourmet stuff - he was without fingerprints therefore analogue, unparalleled approved diva, an evaporated, a vanity, a cock who he reads signs and mysteries in every chronological knick-knack, in every temporal shred - lightning seemed like nerves that night, marbled it like capillaries and how they exploded and then dark - the similarities of organic things, I wondered ... veins and lightning ... I wondered if the Conscious life is not just the sum of unconscious and single-celled lives with cops breaking the ass of Protestants, like good Catholics, but with a hard grin and blue! art makes it possible to carry out terrorism without deaths or injuries, perhaps wounded to one's ideals and one's interests, the terror of an epoch its advent, the epoch of common privilege, the future - art must make these enemies suffer must upset the morals, religions and banks, mix them up like polenta, otherwise everything gets together - art must be labor, the spontaneous labor of a woman in childbirth, it must conceive - even at the cost of rape it must fertilize - the art that makes yes with he is diligent and collects his prerogative as an accomplice, who misleads among spiritsualisms cleansed of every edge and pungent end, without amorphous angles and streamline to shell aerodynamics in a small sky of permissible and deputy codes ... that stuff there must be passed to the blender, become a mousse, an acrylic cream, a flat color of background against which pits, cancers, lumps, fats, muscles, stones, nerves will emerge - the stuff that doesn't homogenize, the stuff that gets corrupted - being the stuff it is - listless intelligence coaxes, asks for time, she struggles as red as a fifty-year-old whorehouse in the gym - her loafers heart dances the rumba - she's shiny unlike the fringed brains of john vein's fringed cowboy jacket, still dusty from riding in the desert - another 6,000,000,000 individuals have the same, original huh? a unique piece ...

The puerpera is covered with fried crustaceans, the cravings squeeze and rinse it, the creature demands food, the peephole of the maternal navel opens and like a suspicious housewife observes the representative who wants to sell him the world: he decides to abort himself - every mom is like a submarine, indeed its opposite - the (amniotic) liquid is inside not outside, as well as the spicy periscope - the little one watches through the peephole - billions of baby rats, babies flee in terror from an exhibition - what could possibly have them like this terrified? sure that the exhibition is sister to the monster, but they still have their eyes closed ... sometimes the stench is enough, the smell of fear makes you do unthinkable things Mickey Mouse: he is dressed cool in pants and skeit shoes - the little one decides to go out - he is shy and slimy like a snail his antennae are dragging along the sidewalk, his mother doesn't notice anything - but he has run away - he is all soupy and motionless jelly nut anxious silver teaspoon swallowed in it - bullet - slowly dries up becomes parchment becomes summer dog shit - pulverized, some parts still grated on tasteless and superb pumpkins, but it is useless - a despicable case of abortion where the mother has not noticed anything and thinks she will find her son elsewhere in a hysterical pregnancy at the end of the period when an oily and screaming pouch will gut her amicably and ask in the pre Babel of Babies "where is my soul? Why did you slip it off your shaved thighs like a trickle of menstruation? what a careless you are! that dead stuff is oil dear mom, you were rich! do not burn it unnecessarily before new moon nights those moonless and starless nights, when the darkness is so dense and relentless that the torch becomes necessary - only then light the torch that burns the dark to get the light, the black matter which makes up 90% of the existing wants this type of torch - not the moody summer and winter nights and the clear twilight - I speak of cosmic nights of the abysses of the earth and the throats, the inside of organisms and mothers with dull eyelids in sleep deep, the ocean depths; the night on the Atlantic and the depth bombs that implode there without releasing any form of light, the black ... they are one with the stuff that is in the midst of the stars, with that background to which we are all hung and highlighted , on the black, the passepartout that light denies and the dimensions swallows - and proclaims itself the only bloody ideology, the only religion, the only and therefore the negation of every multiple interpretative mockery, unique because in this dense sensory deprivation man can only be silent - the play of light deceives - the oil is constant and unexplained it is a certainty to find the black amalgam of the cosmos even here on earth, in a semi-solid, fluid form always ready to become rock or ether - undecided divine manifestation of the rightness of the rich, the his Texan hat, his mocking smile, his essence under his boots. How could you marry such a monster? "The impassive cowboy devours the earth, drinks a dark beer. 

La succube connontazione di una sfida

 Ore 02:57

dopo una prima serata "allegra", dopo due mesi che non facevo nulla di mondano, eccessivo anzi, estremamente controllato e monacale, prendo un acido legale (1P-LSD). Attendo gli esiti. Ho bevuto (come non bevevo da due mesi). Questo ha creato le precondizioni (atteggiamenti disinibiti, fumare sigarettte, assumere la sostanza).  Sono stato finora in buona compagnia. Persone innocue, una ragazza particolare. Forse due. 

Ho scritto ad alcuni fratelli in cerca di un eventuale sostegno / just in case

L'amore è esattamente dove deve stare : in quella linea d'ombra fra le smancerie e l'auto-da-fé.

OK comincio a sentire.  Ore 3.04


Ne esco macinato adesso, ore 13:01. Visioni, essenzialmente drifting. Trascorso il tempo al parco: sensazioni di premorte e rinascita, (condizione cardiaca?) - Chiamata ambulanza per scrupolo dalla mia guida spirituale, ma rimandata, senza ricovero. Parametri stabili. Ondate di sudorazione all'uscita dell'ego dissolution. Sbalzi pressori. CRT-D operativo. 

Quante cose dovrei dire su Raffaele (la mia guida) che mi ha accompagnato con prudenza, timore,  facendo ironia nei momenti giusti, gli scenari napoletani dalle finestre socchiuse nelle prime luci del giorno. Facendomi ridere e parlare mentre l'universo di ripiegava su se stesso o con lui i miei occhiali, risucchiati chissà dove. Dalla Terra? Gli ho inglobati nel mio braccio? What's the difference.

Era un padre, ma più che altro un nostromo, antico. (traghettatore) - un pilota di drakkar napoletano, col viso continuamente sfalsato dal drifting: era il mio amico di quattordici anni, era la foto dove si era invecchiato con l'app di reface… 

Abbiamo parlato di alcuni libri, ma sarebbe più corretto e per nulla presuntuoso dire, che essi ci abbiano squadernato, letto a brani incoerenti, riversati come decalcomanie sulla nostra superficie cosciente ( a tratti)

Effetto per il quantitativo minimo, poderoso. Non mi è chiaro se amplificato da precondizione alcolica (una condizione alcolica dopo circa tre mesi di totale astensione all'alcol). Questa è materia di farmacologi. So medicarmi ma questo non mi rende un farmacista o tantomeno un curandero. Avrei dovuto proseguire oltre. Oltre la morte. Muoversi sempre come Kurt o come Kurtz.

Avrei voluto che il mio babbo fosse con me per questo cinquantesimo compleanno. Ho un giorno per spurgare e piangere, dare definitivamente l'addio al tagadà dei baretti, della corte senza senso alle ragazze, nella consapevolezza di non aver nulla da dare,  forse questo scheletro e le parole che ci rimbalzano dentro come sassolini.

Sono stato più puntuale in certi messaggi, che vi riporto senza alcun riferimento possibile.


"[13:49, 4/9/2021] Andrea Betti: erano due mesi che mi tenevo; due mesi che aspettavo ilmomento, la maglietta di sandokan, la festina delcazzo a ciricea … e intanto vengo risucchiato nelle adiacenze vuote della vita, dove nulla accade, salvo sgretolarsi al rallentatore

[13:50, 4/9/2021] Andrea Betti: ti chiedo perdono e grazie

[13:50, 4/9/2021] Andrea Betti: riposati che tu ieri hai traghettato un’anima dolente


Ricorsività vichinge: il mio amico-padre putativo che mi traghetta, gli infermieri a cui mi sono rivolto chiamandoli con nomi scandinavi (come Ostlund)

Ma l'esperienza di totale ego dissolution (non dissimile dalla ketamina) l'ho provata al parco, dove era arduo distinguere un contorno di una risata, dall'erba secca nella quale m'impupavo, la compresenza di tempi e luoghi differenti, e talune presenze fantasmatiche.

Il saggio dice: 1P-LSD va sicuramente assunto in purezza, non sull'onda di una sbronza a scoppio ritardato. Per i quantitativi è formidabile la resa, aldilà di ogni mia più sfrenata immaginazione.

Ne basta mezzo forse per un'esperienza più "gestibile" (almeno nella mia condizione clinica).

Ho intravisto le anime dell'altro mondo, ma non ho interagito con esse, o più credibilmente, non ho memoria di averlo fatto perché questo contatto è su un ordine esperienziale diverso, più profondo, insondabile, superno.




giovedì 12 agosto 2021

Hyperstition # I

Una fertile ignoranza e una macerazione nel futuro, occorrono, o in esse ci s'imbatta a vent'anni, venticinque al massimo: questo è ciò che nutre la visione più di ogni acido. Una prodiga inconsapevolezza di essere ignoranti – senza l'appiglio dell'ironia socratica – quella  che permette poi di scoprire, una volta compiuto il fattaccio "so called hyperstition" (di cui all'epoca non sapevo nulla, come di altro) di disseppelirla retroattivamente, tramite decostruzione paranoico-giallista, deducendone il contagio per frammenti di conoscenze successive. E nel 1995, è tutto dire, mi buscai un tardivo morbillo alle serate Logic al Central Park da un mio amico francese; ma soprattutto era di là da venire Negarestani e CCRU muoveva i primi passi senza che in Italia se ne sapesse granché (mentre loro ci leggevano: Negri, Berardi, Varzi ecc…) ma per restare nel nostro orticello, non sapevo un cazzo nemmeno di "Petrolio" di Pasolini, il grande incompiuto romanzo italiano, che anticipava quella che noi oggi chiamiamo theory fiction intrecciando storie di emancipazione sessuale, di brutalità, di doppel gänger e l'omicidio Mattei. Fattacci sotterranei: la Cyclonopedia italiana, altrettanto frammentaria, militante, appassionata; altrettanto intrisa di del fluido nero. Consideriamo Seveso un'anticipazione di Chernobyl? Consideriamo il nero fluido, il demone inorganico del fascismo che inizia le trivellazioni in pianura padana sul finire del secondo conflitto mondiale, le stesse che permetteranno il rilancio dell'industria italiana del dopoguerra…? Facciamo che…

E io che cazzo c'entro, salvo condividere col venerabile i natali? Non lo so: studiavo disegno industriale, ballavo tantissimo la drum'n bass fra il 1995 e il 1999, ne ero impregnato (la drum'n bass è considerata veicolo iperstizionale, ovvero incursione del futuro nel presente) e una notte, ignaro di poromeccanica, di Varzi, Negarestani, di buchi, Deleuze (no, forse già trasmettevano le sue lezioni su Rai Tre) e mereotopologia, di Fisher, Land e CCRU - una notte lucida, invernale, stellata - scrissi PETROL EMANCIPATION. 

La seconda iperstizione è Anthony Hopkins / Benedetto XVI e comunque le operazioni di reface e ibridazione fra personaggi locals (Gigi D'Alessio \ Jimi Hendrix) e personaggi global fatte a mano con photoshop: su questo poi si è aperto un intero filone di memetica. 

Non ci sono meriti, ma il compiangersi per l'abbandono a queste furie che ci sovrastano. Sentirsi disertati dalle favellatrici oscure e, a seguito di quelle fugaci apparizioni, inconsapevoli se il destino che ci fu svelato è narrazione o induzione, poiché nell'oracolare è sempre una spinta diabolica a modificare il proprio destino in base all'informazione ricevuta. La profezia che si autoavvera (che tu autoavveri) ci consuma di quel bene (ritenuto) assoluto della libertà e si preferisce essere agiti nella notte, macerati a nostra insaputa. Ma questo ci tormenta, perché essere ospiti del futuro è un camminata solitaria e cieca. La scoperta successiva della manipolazione reca un nuovo trauma, come un adulto che scopra di essere stato abusato da fanciullo: seppur incolpevole, l'innocenza è segnata da un'ombra nuova e i segni poi, restano lì come gli avanzi di un efferato banchetto futuro, le evidenze di uno scempio non ancora accaduto, come alibi. Il paradosso accoglie le scaramanzie del ludopate, del compulsivo. Il rivelarsi dell'incursione ne promette altre, ed è invisibile come il contagio. Potresti già esserci dentro, non esserne mai uscito: solo l'intontimento, la secchezza delle fauci, lo scompenso cardiaco, le aritmie, fluttuazioni di ansia di organismi che respirano a lungo un'aria che non è la loro, trafitti dalle radiazioni ionizzanti dell' inversione del vettore. I giorni di Chernobyl li passai all'aria aperta in scorribande in motorino, come molti altri. Questa contaminazione è un fatto generazionale, o solo alcuni sono stati iperstizionati in seguito…Per certo a chi tocca, rimane "la testa piena di mille scorpioni".

Prossimamente: "Emancipazione Petrolifera" che dedico a Reza Negarestani, tradotta alla cazzo in inglese.