venerdì 31 dicembre 2021

1P-LSD Seconda Esperienza

Ho assunto 1p-lsd (25 mmg per ora, microdosing). Guardavo la coppia al tavolo di fronte che beve un prosecco: è lampante. L’unica modalità di assunzione veramente soddisfacente è conviviale. Nel corso della nottata e del primo mattino, ho assunto ulteriori 25mmg e infine 50mmg (complessivamente un blotter completo da 100).

Il Demone

È comparsa all'inizio della notte una donna demone: non era un demone malvagio, ma la sostanza mi ha dotato pro-tempore di questa facoltà tomografica di leggere o vedere evidenziati nei tratti somatici le sofferenze, le dipendenze, come se le esperienze dolorose emergessero dalla carne. Occhi spiritati cerchiati di nero, gli stessi che ho rivisto al mattino in mia madre, che mi pareva storta, smunta, così deforme su un lato che ho temuto, dal momento che lamentava dolore al braccio, fosse vittima di un infarto. La stessa medicina amara della visione si è applicata, introspettiva, anche a me stesso. Avevo apiegata di fronte a me una chiara mappa del mio sistema nervoso e comprendevo con naturalezza, la potenza delle emozioni, il loro insorgere come fenomeni chimici ed elettrici, sotto forma d'impulsi luminosi che disegnavano tracciati vividi nei labirinti delle circuiterie nervose, la loro ricaduta sui processi vitali degli organi interni. Perciò ho pianto a lungo, perché ero via via più consapevole di come il rancore che mi ha impregnato negli anni, fosse la causa di tutto il Male: la rabbia a cui i cinesi nella loro tradizione attribuiscono l'inquinamento del Qi. Non mi riferisco ad un malessere meramente astratto, spirituale, ma fisico e che comunque, è prosecuzione di quello spirituale, una continuità i cui confini fittizi si perdono nell'altrove\altrui, ma di cui le soglie sono manifeste. Male fisico che potremmo definire somatizzazione, nel mio caso specifico la cardiopatia cronica e l'insufficienza cardiaca. La sostanza mi ha indotto a compiere delle semplici azioni curative a monte del processo di corruzione, esplorative in principio, indirizzate a individuare i nodi di dolore, poi cercando di ristabilire un pensiero adeguato (in senso spinoziano) si sono attivati processi di accettazione che richiederebbero mesi di psicoterapia, e che al contrario mi si sono presentati a portata di mano, nel giro di poche ore. Si è trattato soprattutto di telefonate di riconciliazione e franchezza: con alcuni amici nella notte e al mattino con la mia ex moglie. 

La semplicità del gesto, della pratica (che non ha nulla di "psicomagico") non cancella o rende semplicistico il male fatto e ricevuto: nella visione (concettuale) che mi si è mostrata, questi mali sono apparsi sotto forma di nodi del legno. Alcuni nodi sono così compatti che nemmeno la sega a nastro può tagliarli, o almeno questo è ciò che mi raccontava mio padre, che era restauratore e falegname. Essi restano nell'economia della crescita della pianta segno indelebile, così anche nei tavolati di legno; un'amica mi ha rammentato del rovere, la cui texture è caratterizzata da numerose nodosità che ne sono tratto distintivo estetico.

L'Angelo

Al termine della notte di lacrime è comparso dalla nebbia, Andrej (io mi chiamo Andrea; le sincronicità si manifestano con potenza, inattese). Eravamo solo noi due al crocicchio nel centro della città vuota. Egli è apparso dal nulla, mi ha detto di essere polacco, che era stato in prigione un anno e l'ho accompagnato alle poste a prelevare soldi al bancomat. Abbiamo parlato delle nostre madri, poco, con semplicità: dopodiché le nostre strade si sono divise e dalla nebbia, come era arrivato, è scomparso. Nell'esperienza psichedelica egli ha rappresentato l'angelo, concludendo il ciclo di purga iniziato con l'apparizione del demone; un'epifania bonaria, inviatami da mio padre. Ovviamente l'elaborazione del lutto paterno ha un ruolo preminente nelle mie esperienze psichedeliche, durante le quali egli si presenta, non in forma fantasmatica o spettrale, ma come reminiscenza viva, come insegnamento e modello. Ripensare a mio padre mi ha fatto ricordare come egli seppe perdonare i fratelli con cui aveva avuto gravi dissapori: un perdono non cieco, un perdono che esibisce le sue cicatrici, che non deborda nella falsa rimpatriata, in una cancellazione del passato tanto deleteria come quella del negazionismo del rancore, o nel proverbiale "tarallucci e vino", ma che individua e aggira il nodo, volta pagina autenticamente e riscopre un affetto intatto, che è quello che ha tenuto insieme negli anni la mia famiglia, mio padre, le sue sorelle e fratelli (erano in sei). Più che un voltare pagina in avanti, un reset, un ritorno all'originale legame primario di latte, precedente al dolore e ai contrasti, prima che questi cominciassero ad alterare la trama del rapporto. Un superamento nel passato, mondato di nostalgie, che possiamo sperimentare anche con chi non ci è consanguineo, con chiunque abbia (o abbia avuto) con noi una relazione intensa.

Annotazioni visive e sensazioni fisiche di rilievo

Interessante la percezione della luce, a lampi iridescenti che si muovevano sulle superfici come scintillii, come se potessi percepirla al rallenty (molto rapidamente ma non istantanea) e soprattutto del calore. Ho cucinato in pieno picco e potevo percepire, nelle forme note del drifting, l'energia radiante trasmessa dai fornelli. In pratica oltre a "visualizzare" il dolore (di mia madre, della mia amica, di me stesso) la sostanza traduceva in pattern visibili estremamente ordinati, anche fenomeni fisici come il calore, un effetto assimilabile al Morgana o alle fluttuazioni di aria calda sull'asfalto in estate, ma molto più dettagliato, geometrico: uno sfrigolio come di vetro smerigliato liquefatto, l'increspatura del vento controluce sopra una placida superficie lacustre. Come la volta scorsa, ho provato freddo cosmico nelle ossa, tremori, quelli piuttosto fastidiosi, anche perché si sono protratti fino al tardo pomeriggio, a ondate, forse determinati dalla mia condizione o è una caratteristica di questa molecola? Non saprei dirlo: per me credo l'ideale è 25, max 50mmg, anche perché trascorrere 24h insonne, indipendentemente dai brividi, è estenuante. 

Psichedelia Oscura

Va molto di moda prendere una parola e schioccarci accanto l’aggettivo “oscura”, spia di una tenebra che da fuori ci avviluppa o di una imminente cecità. Esterno/interno: stiamo ancora a questo binarismo da sceneggiatura? Quando tutto è poroso, e le delimitazioni si rivelano soglie, segni dipinti su una superficie continua o tutt’al più tensioni superficiali che si “tagliano con un grissino”.

Per non dilungarsi: siccome se n’è parlato solo male negli ultimi cinquant’anni della psichedelia, come teoria, pratica e soprattutto assunzione di una determinata categoria di sostanze, da oggi, per decreto neorinascimentale, se ne parli solo bene, pena l’ostracismo e la censura.


Ovvero (1): la triste parabola del Critico Costruttivo, che non necessariamente è ostile a ciò che sottopone alla sua disamina, ma nell’era della complessità è per paradosso troppo complesso abbaiare alla luna anziché al dito che la indica, specialmente se hai indispettito il Vate, che fra tanti meriti, tuttavia non distingue una citazione da un’opinione e la scambia per quest’ultima, attribuendola al Critico Costruttivo medesimo. Regola aurea del secolo vigesimoprimo: tu citi una cosa, tu ne diventi emanazione e autore, così d’emblée. 


Ovvero (2): la vittoria del bias di conferma sul dibattito, più volte e inutilmente tentato, pensando ci fosse interesse a tale dibattito, che pulsasse un cuore appassionato sotto al narcisismo dei Superni e invece…


Le premesse insomma, non sono un granché, se i Superni – scesi fra noi in extremis per soccorrere i poveri primati che ancora si stupiscono del loro non richiesto pollice opponibile – si comportano esattamente come gli Oscurantisti che li hanno preceduti e, come loro, creano conventicole esclusive di dotti iniziati, tipo massoneria ma senza panzane esoteriche, che gli avrebbero fornito una certa allure e, chissà? Forse la possibilità di ricreare un ambito di uso rituale, pur senza grembiulini e attrezzi da muratore, ma regolamentato e consapevole, extra-farmacologico, oltre la terapia o l’abuso ricreazionale, la produzione illegale e lo sballo tout-court ecc…ci sarebbe stato da divertirsi. 


Grande fermento comunque nel mondo della farmacologia: dai succitati Superni de noantri (che lasciamo volentieri al loro rosario ossessivo-compulsivo di gustosi aneddoti sulle bancarelle di chicchi con musica goatrance) alle università inglesi e statunitensi, tutti volere pinguinodelonghi, e si fanno pressioni per riprendere il discorso laddove fu interrotto dagli Eterni Giovanardi Universali e tutte le consimili iposoggetività poste a guardia del nostro sacrosanto DMN, munite di milizie, mandato popolare e divino; per ora, con comprensibile circospezione e timidezza. 


C’è anche un toccante documentario Netflix riguardo alla difficoltosa sperimentazione di terapie con psilocibina su persone affette da depressione maggiore. Esiti incerti, campione di riferimento esiguo per avere rilevanza statistica, la difficoltà di costruire protocolli, reperire la sostanza legalmente senza essere accusati di spaccio, lo Schedule 1 nel quale essa è iscritta assieme a bamba & robba. I depressi intervistati hanno esperienze illuminanti, non tutti, non sempre, perché non è come ingettonare il juke-box e quello suona e canta lieto; alcuni hanno rivelazioni o regressioni, altri sono semplicemente disorientati; la cura del setting un po’ naïve / newage. Quasi tutti dopo pochi mesi ricadono nella depressione. 


Perché evidentemente (1) l’esperienza oltre un reset momentaneo non va ed è impossibile verificare la validità terapeutica su un arco di tempo più lungo per gli attuali limiti di legge. 

Perché evidentemente (2) la lezione di Fisher su depressione come malattia sociale e acid communism non è stata implementata se non a livello esornativo. 

Infine, ci sono decenni di nulla di fatto, di illegalità, di stigma negativo e demonizzazione da superare. 


My two cents: per me aveva ragione Leary e l’approccio farmacologico è inadeguato. Le sostanze psichedeliche fanno parte della vita di tutti i giorni, come la ben più letale e legale trimurti alcol-tabacco-psicofarmaci; fanno parte di riti sacri e profani, sono sostanze sociali, creano conflitti, alleanze, contagi, risonanze, dalla bicocca newage allo studentato, dal  Goa party al vagabondaggio, alla deriva psicogeografica; che ci azzecca imbottire uno sciagurato di psilocibe e tenerlo su un lettino di ospedale, seppur mascherato con candele, luci soffuse, trapunte colorate e musica newage!? Ma cazzo! Almeno Aphex Twin! 


L’esperimento così condotto è falsato in partenza, come gli studi etologici su animali in cattività: capisco che a Huxley & Co. piaceva rintanarsi in confortevoli alcove, arredate con gusto e ascoltare Mozart; al 99% degli psiconauti di strada gli è toccato in sorte il capannone industriale dismesso, la martella teknusa, il falò di bancali. Ma erano in buona e sintonica compagnia, non di medici che ti tengono per la manina (mi chiedo se già questo patetismo non alimenti un rinforzo negativo, il trip come espiazione, un sottotraccia cristiano di sensi di colpa per cui "solo io sono colpevole della mia depressione, sono io il fautore del mio destino…" e altre batte simili) ma di altri in bomba come loro, presibene e presimale, angeli e demoni e in quel confronto trovare la misura psichedelica di noi stessi o quello che ne resta, o meglio, della nostra interindividualità: trovare nella dissoluzione dell’ego, altri ego dissolti, come mille frigoriferi che sbrinano e gocciolano a terra, miscelandole, le effimere sovrastrutture dell'Io che erano cristallizzate nel DMN. È solo l’ennesima psicosi collettiva o c’è di più? Il gioco è rischioso: sì. Vale la pena: sì. Il terrore per la follia, quando di follia raziocinante è intriso il cammino umano dacché l'australopiteco iniziò a sviluppare in modo abnorme la neocorteccia, impania tutta l'esperienza psichedelica: emendare l'esperienza dalla follia è demenziale quanto bere una birra analcolica; la follia può essere manipolata, resa transitoria, e per farlo è indispensabile "ritualizzarla" – anche laicamente, non è necessario erigere totem o camuffarsi da nativos – in ogni caso, va da sé, che l’esperienza psichedelica è efficace ed ha senso solo come esperienza collettiva e ciò rende controverso (seppur meritevole, lo affermo a scanso di equivoci) il suo studio farmacologico su singoli individui isolati, con le prassi note. Ma poi: chi ha deciso che debba essere per forza un farmaco? 


Stiamo cambiando la mentalità o è soltanto il mercato delle medicine che cerca nuovi sbocchi? Fu vero marketing? 

martedì 28 dicembre 2021

Il Paradigma dell’Inadeguatezza

Un commento in risposta al pezzo pubblicato su LGE “ Il Cosmologo e il Ciarlatano” https://lagrandestinzione.com/2021/12/22/il-cosmologo-e-il-ciarlatano


Innanzitutto qual è il vostro paradigma? Non lo dite: non è che non lo si capisce perché siamo tutti rincoglioniti. Vediamo vari personaggi dell’ultimo atto di questa tragicommedia umana agitarsi nebulosi sullo sfondo nitido di un crollo al rallentatore: hanno appena spento le luci in sala e sul palcoscenico salgono i baroni,    i saltimbanchi e infine, le Cassandre, che a tutti gli altri, ancora presi come in un incanto nel voler salvare vecchie capre e cavoli, additano il rapido incombere della sventura, l’Esattore Cosmico che s’approssima minaccioso a presentarci il salatissimo conto agrilogistico. Ostentando la pistola fumante, muovono un’accusa circostanziata: è stata l’umanità. A conforto di questa tesi le testimonianze di studiosi, climatologi, scienziati ecc… che hanno incastrato la colpevole: ha lasciato ovunque il suo dna, le sue tracce, i mozziconi di sigaretta e le microplastiche, i pesticidi e le chiazze di sangue. Il pubblico in sala, nonostante il plot abusato, si appassiona, tace, qualcuno tossicchia. L’aspetto affascinante e osceno, nel senso etimologico del termine, di questa storia trita e ritrita è che tutto accade fuori da essa; durante la rappresentazione di per sé fittizia brucerà tutto il teatro, al rallentatore, senza che scatti un allarme, come il tetto di Notre-Dame, nulla di apocalittico in principio, sarà il monossido ad assopire e uccidere dolcemente tutti prima del bbq: il pubblico, gli attori, i figuranti e anche le Cassandre. Come direbbe Larkin, alla morte non frega se frigni o sei coraggioso. Non mi si fraintenda, non è la citazione di una poesia formidabile usata per fare una sparata cinica contro la consapevolezza che deve essere febbrilmente perseguita o  perlomeno esserne perseguitati, ma vedere in anticipo su altri, presi ancora a baloccarsi con i loro gingilli culturali, i prodromi del collasso, non significa automaticamente avere nuovi paradigmi. Se si possiedono, vengano esibiti senza indugio, e con la massima urgenza! E non si può nemmeno, ogni volta, chiamare in causa gli altrui insanabili vizi di forma, le merde pestate da Agamben o Wu Ming, per poi calciare la palla in fuori gioco. Costoro, come chi reclama nuovi paradigmi, non sono in grado di formularne,  se non attaccandosi a concetti e forme consumate, derivative, esauste, perché appartengono (apparteniamo) alla stessa rappresentazione: suoniamo tutti nell’ orchestrina del Titanic e chi non sa suonare, balla, si tuffa, urla o annega. 

La pandemia (che è solo un assaggio) ha sistematicamente messo in crisi e in conflitto fra loro i nostri modelli di socialità, democrazia, cultura: si stanno frantumando di fronte alle implacabili dinamiche del contagio. Stiamo parlando - è vero - di una debacle antropologica senza precedenti, nonostante TINA abbia documentato alcuni scenari accaduti o in potenza, finora siamo stati pieni di una sicumera data da tecnologie incalzanti e mimetiche rispetto alla magia, da un benessere (non condiviso) da una relativa sicurezza rispetto ai patogeni (nonostante i tratti endemici delle malattie oncologiche e cardiache, o depressive, vere e proprie epidemie sociali) che ci hanno

permesso di languire negli psicologismi, nei giochetti di potere più o meno atroci, negli sgambetti; il dispetto, la piaggeria, l’intersiziale, sono stati i margini di manovra per la maggior parte degli operatori culturali fino all’altro ieri; mai avremmo pensato di ritrovarci così disperatamente soli, divisi, afoni e soprattutto, maldestri. Non solo come singoli o privati cittadini: le arti, la letteratura, la filosofia, la musica, le scienze, i nostri strumenti cognitivi si sono rivelati forbicine stondate, lucine di natale calate nell’abisso che si è aperto come un sink hole improvvisamente nel cuore della civiltà. Le avvisaglie e le Cassandre ci sono state, ma sono state ignorate perché parte della rappresentazione; Improvvisamente il mondo che avevamo esplorato e che alcuni credevano di tenere in pugno si è rivelato alieno, ma in questa alterità si sono aperte terre incognite, per le quali vale la pena provare, nei miei molti limiti, a essere propositivo e se anch’io pesterò una merda, pace; proverò a formulare un paradigma esplorativo necessariamente insufficiente, visto che è ciò che a gran voce e da tempo si richiede, e non posso più ignorarlo. 

La mia proposta è l’inadeguatezza. 

Partiamo da ora, hic et nunc; restiamo alla situazione in divenire; siamo ad oggi, oltre che artefici di uno sfruttamento scellerato del pianeta, pervasi da una totale inadeguatezza, che ci fa credere incapaci di rimediare il danno arrecato, tanto che sarebbe opportuno chiedersi se quello

che si è prodotto sia davvero un “danno” fuor che per noi stessi e per le forme di vita che ci sono contemporanee o un “innesco” un trigger, per l’origine di una forma nuova, ibrida: sto pensando a Chernobyl. Siamo solo degli adolescenti che hanno sfasciato casa mentre mamma e papà erano via nel weekend? Nel filmetto i genitori tornano, fanno una ramanzina ai pischelli e ripuliscono casa. Nella realtà non è così: siamo orfani, o tutt’al più genitori e figli di noi stessi; la casa non è nostra, nemmeno in affitto, men che meno in comodato d’uso, ma coabitiamo e siamo abitati da essa in un rapporto simbiotico e parassitario, conflittuale e cooperativo a fasi alterne o sovrapposte, suscettibile di variazioni imprevedibili. Abbiamo scarsa concezione delle soglie, ignoriamo molti trigger di attivazione e disattivazione. Viviamo annidati in una trama come acari, avviluppati in essa, senza alcuna finalità nota: non ci sono all’orizzonte un Pasteur, o uno Jenner, capaci di sviluppare “paradigmi controintuitivi”. Non potrebbe oggi nascere l’idea geniale di “vaccino” perché la nostra epoca ha (e continua a farlo) incoraggiato i leccapiedi, i conformisti, gli specialisti e gli ierofanti a guardia del fortino; ha irriso i visionari come i miserabili, e questo piccolo “psicodramma familiare” del primate glabro, di per sé squallido, ma di poco conto, non è nemmeno il problema, perché le mutazioni del nostro habitat spazzeranno via tutto il baraccone. 

Allora sì, il paradigma emergerà con forza, perché saremo privi di ricovero, di palcoscenico, di costumi e titoli da esibire, ci resterà un corpo nudo (o più corpi) investito dal senso di inadeguatezza, dall’urgenza; lo stordimento, che prima o poi passerà, ci lascerà traumatizzati, ammesso che sopravviviamo, e da quel trauma magari riprenderemo a costruire una cultura antropocentrica con le dipendenze e consorterie che ne derivano. Ma potremmo fare diversamente? Ripensiamo alla zecca di Deleuze, alla sua agentività come zecca. Per noi dovrebbe essere differente? Certo, lo stupore iniziale è scioccante, come picchiare forte in macchina: è lo sgomento dei militari che alla fine lanciano l’atomica sui marziani, e l’atomica ai marziani fa come il nonno alla nonna. Cosa sconfigge i marziani? - dove per marziani s’intenda metaforicamente una condizione di diffusa ostilità percepita - Il raffreddore (almeno nella geniale e ancora attuale visione di Wells). I microorganismi da cui deriviamo, che ci compongono, che ci coabitano, che ci permettono di digerire, di pensare, o che possono ucciderci senza malanimo alcuno. Equanimi. 

In ogni modo, non sarà giocando a palla avvelenata con il “paradigma” che troveremo i paradigmi: siamo sincronici e incatenati agli eventi in continuo divenire di cui facciamo parte e per i quali non siamo preparati; non abbiamo, né possiamo avere una visione long term, visione di gioco, perché la caligine del teatrino in fiamme ci avvolge e sonnecchiamo intontiti dal monossido, sognando che tutto infine resti com’è, una rappresentazione, che il Titanic resti come eternamente in sospeso fra lo

stare a galla e l’affondare e ci incistiamo in una sacca dì sospensione temporale, una bolla democristiana, di moderazione, come nelle malattie croniche stabilizzate in un plateau indefinibile, un’eternità effimera, confortevole, fino al successivo cedimento, un’orbita dì parcheggio, la caduta senza impatto; la saturazione cola a picco, non solo gli ignoranti impenitenti, non solo chi ha ignorato coscientemente Cassandra (i superstiziosi) o Laocoonte (i soliti che sghignazzano); paradossalmente dunque non stiamo assistendo ad una tragedia come rappresentazione o catarsi, perché ne ignoriamo deliberatamente la sua realtà come dato fattuale e sfuggente; è come se fossimo privi di un senso in grado di percepirla (gli antichi avevano i veggenti per tale scopo) siamo incapaci di formulare in corsa (in fuga?) una ritrattazione in tempo reale del contratto sociale e biologico - ci sono delle teorie, ma sono pezzi di lego sparpagliati sul tavolo, ancora da assemblare - sono i giocattoli sgangherati di cui parla Morton con cui però nessuno gioca – inadeguatezza, anche rispetto a ciò che si è creato, alle macchine ultraveloci, nelle quali abbiamo introiettato il nostro sogno irrealizzabile della velocità di adattamento, di trasformazione, di evoluzione o emendamento, quando biologicamente siamo gli stessi da circa trecentomila anni; di questi, abbiamo trascorso gli ultimi dodicimila, a dire agli altri cosa fare, grotteschi, mossi da qualche appetito triviale, una specie che diventa stanziale per ubriacarsi; qualche rinforzo negativo ci ha condotto verso / impedito l’estinzione più volte rasentata. Non possiamo, né potremmo ora avere profeti o sciamani perché anche questi sarebbero “attori” accecati dal presente, tramortiti dal monossido; dubito, da sostenitore, che la tardiva chiamata in gioco della psichedelia, possa squarciare le massicce fibrosità del conformismo accademico, della spocchia autoreferenziale, ora che le pareti della bolla si sono inspessite. Forse soffocheremo in essa e il teatrino cui assistiamo è solo una suggestione proiettata sulla superficie interna della bolla, come in un visore VR; tutte le strategie, anche le più promettenti, s’impantanano nell’hype - quando godono di un fugace clamore - oppure sfioriscono; altri si rifugiano nella retromania e i nostri immaginari sono manipolati da showrunner, che percorrono la "scia chimica" della massimizzazione dei profitti. Prendendo atto di tutto questo, della nostra scarsa confidenza con la morte e la malattia (la prima che non è mai annichilazione, la seconda che può rivelarsi opportunità) il primo passo da compiere è, a mio modesto parere, quello di riconoscere la nostra inadeguatezza: non come atto di contrizione. Non è un mea culpa. Sylvia Plath lo ha fatto con discreti risultati: il suicidio dei visionari è incidentale, la follia indispensabile o tuttavia inevitabile; molti che hanno detto qualcosa di sensato erano pazzi, molti si sono ammazzati o sono morti prematuramente: non formalizziamoci sui destini del vettore virale. Nessuno si era mai posto finora il problema della rispettabilità, o della credibilità come oggi la intendiamo, a stringere ulteriormente la bolla, fino a farla diventare un sacco di plastica in testa: che qualcuno speri in un orgasmo da soffocamento?  Ah, quelle gratificanti pulsioni anaerobiche delle vite primeve, il revival di un brivido procariota! Direi di essermi dilungato sin troppo. Calcio anch’io la palla fuorigioco a questo punto, ma prima ci scrivo sopra “inadeguatezza”. Qualcuno la raccoglierà o la prenderà in testa e mi manderà affanculo: intanto il primo paradigma che propongo è questo. Non è dato sapere se ciò produrrà sviluppi salvifici per la specie o il pianeta, o sarà l’ennesima puzzetta letteraria che va a incrementare gas serra, ma ciò è irrilevante.