La via della rinuncia è lastricata di scelte. Anche se il mio telaio è conservatore, cattolico, piccolo borghese, in una parola, italiano, ho coltivato troppe antipatie, patito la mia stessa insofferenza al concetto di "promessa" che impregna le grandi ideologie e le religioni monoteiste. La promessa cristiana, la promessa socialista e di risulta quella fascista. Su questo telaio che ho ereditato né più, né meno che il mio stesso scheletro, ho lasciato fermentare suggestioni aliene. Non potrei mai condividere la pacificazione tradizionalista di Giovanni Lindo Ferretti, il suo radicale ritorno ad origini fossilizzate, che è infine un lusso anche se monastico, austero, quello di tirarsi fuori dalla mischia e magari dar due calci in porta alla propria squadra. Sono infatti un moralista, mio malgrado, che ancor si strugge per la mancanza di coerenza, che mal digerisce le mutazioni, le trasformazioni sospette che sottendono alibi e fragilità imperdonabili.
Per la "patria" nutro un attaccamento infantile, un imprinting da anatroccolo verso stivali di gomma registrati alla schiusa, ridotto al folklore, alle pietanze delle nonnette e alla condivisione di forme gergali con i compagni di sbronza locali, non ho alcuna particolare predilezione per il luogo in cui sono nato, certo non per mia volontà o scelta. Non temo invasioni, anzi le auspico. Chi ha plasmato una matura misantropia non può fare lo schizzinoso, basandosi sulla inconsistenza dell'argomento razziale. Il mio fastidio è democraticamente spalmato su tutta l'umanità e come ogni fecalità conserva frammenti di frutta affetto e gusci dell'originale fiducia nel prossimo. M\i lasciano freddo le questioni sulla famiglia tradizionale, anche se sono fortemente legato alla mia famiglia biologica, le indignazioni sul gender, quanto le masturbazioni ortografiche su asterischi inclusivi che trasudano ipocrisia e forzature protocollari ad una lingua che non comprende le forme neutre, non ancora.
Detto questo la sinistra istituzionale è avvilente nella sua artificiosità, nelle sfacciata esibizione delle sue metastasi liberiste. Allora potrei essere un radical-liberista menefreghista stile Cruciani? E chi ce l'ha tutta quella foga, quel gas in fondo fisso, quella fede nel self-made man, nell'uomo libero, nel trombatore? Non ho alcuna fede, men che meno nella "figa".
L'asse intestino-cervello di cui ho letto ne "L'Ordine Nascosto" di Sheldrake, rimette in discussione il concetto di identità, di singole forme di vita, dà l'idea di un fenotipo esteso, un consorzio di batteri, funghi, microbi che compongono l'entità umana fra le altre, che la estendono a memorie e impronte in altri individui e nell'ambiente, che ne modificano i comportamenti. In questa coscienza diffusa dove tutto l'organismo si fa pensante, l'elemento viscerale è malvisto: è il dark side, la sede di pulsioni violente, nei suoi vacuoli si riversano escrementi, muco, sangue mestruale, lacrime, sputo, sperma di seghe. Le viscere sono un postaccio che i bel pensanti hanno smesso di frequentare: le viscere come le mani di Begby sono per la stragrande maggioranza dei nostri simili, l'unica interfaccia col mondo e da esse parte il pensiero, un pensiero grezzo sempre autentico e necessario, ma infantile, perciò manipolabile.
La sinistra ha abdicato al suo ruolo interlocutorio con le viscere del mondo. Ha imboccato tutte le vie sbagliate pur di sussistere come classe dirigente: dalle smorzature liberiste al totalitarismo cambogiano, ha praticato il culto della personalità per sopperire al vuoto creato dall'ateismo di stato. Tutte tranne quella giusta: quella che ho intravisto, di rado, nei centri sociali occupati negli anni novanta, in alcuni circoli Arci retti da punkettoni illuminati, ai rave parties. Le viscere erano finalmente connesse al cervello, il flusso micotico-microbico, trascorreva non senza rischi: autodistruzione, alcolismo… E chi la voleva la perfezione dell'utopia socialista? Cercavamo un terzo occhio dionisiaco, esterno a noi, imparziale ma appassionato, la ego dissolution. C'era una forte componente edonista ereditata dagli anni ottanta, c'era l'hype londinese di Malcolm McLaren e Vivienne Westwood. Mentre noi qua, nelle piane fangose sotto l'Appennino costruivamo a fatica e in ritardo una new wave esplosa altrove (anche con risultati ragguardevoli) che poi fu riassorbita nella materia oscura dell'ortodossia e dell'epigonismo; intanto i Clash imparavano il dub dai giamaicani di Brixton dove compravano l'erba e andavano in culo al punk ortodosso lasciando tutti a bocca spalancata, indignati (me li ricordo ancora) che dicevano "Per me i Clash esistono fino a London Calling" - sempre dalla Gran Bretagna partirà poi l'esperienza drum'n bass (Goldie, Roni Size) - mentre nel mondo impazza l'hip hop, in UK nasce il trip-hop. Perché vi parlo di musica?
Perché la musica, la cultura acid house, la techno (poi con la K) la rave culture, hanno influenzato tutta quella che è oggi la nostra filosofia più d'avanguardia: Mark Fisher, Nick Land, Donna Haraway, Sadie Plant germinano in quella brodaglia le loro teorie di frontiera, è lì che il fenotipo umano si articola nella compostazione di strutture precedenti, che si ramifica come il physarium, che smarrisce la fede, le certezze a lungo avversate fino alla follia da Nietzsche, da Artaud, da Bataille, le baratta con ibridazioni che coinvolgono conoscenze mutuate dalla cibernetica, dal Neurotic Realism, dalla jungle, da Aphex Twin, dalla micologia, dalla biologia, dalla climatologia, dalla demonologia, perché come dice Land "i ratti mordono il culo di Dio". Sono i ratti che vivono nei bassifondi, è David Jones che nasce in un quartiere proletario di Londra nel dopoguerra a diventare la stella nera chiamata Ziggy, Thin White Duke ecc… Sono i ratti Johnny Lyndon, Syd Vicious che danno una spallata a tutto il carrozzone del rock sinfonico; a ricordarci che la accademie sono mausolei. Anche Francis Bacon era un ratto, scappato dalla sua famiglia cattolica, irlandese e bigotta, totalmente autodidatta, e spesso ubriaco nelle sue interviste. Nelle viscere non allignano solo i Mattei nostrani, i saltimbanchi da tre soldi che incitano all'odio, chi già odia.
Se poi a intercettare queste energie vanno i casapaundi non lamentiamoci, abbiamo lasciato loro il posto. Al punto attuale poco m'importa: sono residui della mia intolleranza verso gli invasati di sempre. Scopro in quest'età oscura, fra gli sghiribizzi psichedelici di un tardivo Rinascimento che rinnega le controculture e sempre più si volge al mercato farmaceutico, la clownesca persistenza del neofascismo nelle sue turbodemenziali sfaccettature costruite anche con una certa maestria per avere appeal sui giovani sbandati, fra trappusi incompresi (e incomprensibili a volte) punkettoni bigotti e la morte per anossia di ogni pensiero, che l'unico vestito col quale presentarmi al mondo, l'unica sobria montura che ancora mi entri comoda come un tutone di pile, è il Nichilismo.
Non mi renderà felice, nessuna pelle può trattenere la felicità, ma appaga la mia fame di onestà, di nitore, in esso trovo persino un conforto simile a quello che deve provare il fedele nella preghiera. Un godimento che è schadenfreude metabolizzata, un'estasi a bassa intensità, che permea la gioia come le fasi depressive. Per tale motivo questo blog torna ad essere un diario pubblico e riparte da ZERO, dopo aver cancellato tutti i post precedenti. Lo Zero, come dice Land, è immenso.