Dove si situano gli zeri che definiscono i numeri primi e i pieni che ci gonfiano la pappagorgia? Una domanda davvero del cazzo. Negli zeri tutt'al più si incappa, si cade come pecore nelle torbiere, perché gli zeri sono vischiosi e densi, palustri. Sono sabbie mobili dove la materia si amalgama al vuoto, dove le bolle dell'acqua gassata si equivalgono al liquido e ne svelano tensioni superficiali, simili a tentazioni diaboliche. Nel vuoto il pieno si sgama. Per poterne cogliere l'ambiguità è indispensabile quel picco che raccolse numerose denominazioni: medietà, normalità, identità, buon senso, oggettività. In quel barlume operativo, si svolge tutta la pantomima intermedia al macchinismo e all'istinto che precedono e proseguono il flusso incessante del divenire. È come una segnale captato da un radiotelescopio, una gobba irta di presunzione sull'onda tremula che si definisce fra l'animale e la macchina. Dove l'animale e la macchina coinciderebbero per cartesiana e onesta semplificazione: si tratta (ancor più semplicemente e onestamente) invece di un segmento nel flusso continuo di produzione desiderante e macchinica. La sborrata dell'Io, un frangente, uno schizzo / schizo che si separa dall'ebollizione imperterrita della materia-energia, quell'alzar la testa presuntuoso della vita rispetto all'inorganico verso il quale (la vita) mette in scena un razzismo pulsante e carnale, fibroso, noncurante di gemmazioni cristalline, di diramazioni miceliari, della sua stessa sostanza dispersiva, della rêverie, del daydreaming, del viaggio per il viaggio. Cosa rimane del resto se non vagabondare dalla propria presa di coscienza dai contorni frastagliati come fiordi scavati nell'ignoto, alla perdita di ogni consapevolezza come cretti e frantumazioni di quella stessa coscienza in briciole di non senso. Un turbine raccoglie tutte queste schegge pre e post coscienza e le riconduce al mare di Dirac, al registro akashiko, come uno scopettone che frusciando, pulisce il livello zero del pavimento appiccicoso dopo la festa dell'esistere. Qualcuno verrà svegliato in malo modo in un aldilà simile alla guardina di uno sceriffo del Minnesota? Qualcuno sopravviverà per spalancare un sensore offuscato nella sua nuova veste di lombrico? Qualcuno sarà servo della gleba o proverà, immemore di un passato sicuramente più piacevole, le corvée, i tormenti del boia, i capricci mistificati nell'alibi della ricerca dello scienziato nazista? Oppure il nulla, che sperimentiamo in quella larga parte del sonno in cui non vi è sogno, ma solo il vegetare del corpo a una spanna dalla sua propensione naturale al cadavere? Wunderwaffe.
In questa distesa di zeri, quando incappi in UNO di essi, scoprirai l'orizzonte degli eventi umani: in quello zero accade qualcosa che è precipuo di ogni altro zero, il confondersi di fede e assenza di fede, il punto morto della pedalata, il massimo dell'inazione e il massimo dello scatto ad agire, la compressione della molla che può generare il salto o il collasso. È tutto lì, racchiuso come un personal big bang, che in ogni caso si verificherà. Non devi far nulla: determinismo e volontà si eclissano in un singulto, primo e ultimo.
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