L’emotività è una brutta bestia, ci fa dimenticare alcuni fatti basilari che dovrebbero suscitare ragionevoli dubbi. Senza scomodare Debord, sappiamo (o meglio, sapevamo) quanto l’artificio e la costruzione spettacolare facciano parte della politica americana: le kermesse minuziosamente concertate, il merchandising, le luci, il trucco e il parrucco; non solo con Trump, businessman prestatosi allo spettacolo nel reality The Apprentice, ma anche nelle strategie di costruzione del consenso dei suoi avversari e predecessori. Lo storytelling e il reality sono consustanziali all’America; e sono pure talentuosi, gli va riconosciuto.
Finalmente, Trump e Zelensky firmano il “sospirato” accordo, oggetto di tanto scalpore in mondovisione e, il giorno dopo la firma, il “putiniano” Trump arriva a minacciare dure sanzioni alla Russia se non accetterà il cessate il fuoco.
Un nuovo ribaltamento di scenario? Perché è da un po’ che ci raccontano anche questa novella a veglia, quella del mondo impazzito, senza più regole, ogni precedente schieramento saltato, col Matto alla Casa Bianca. Oppure la verità è che non c’è mai stato nessun ribaltamento? Chi era emotivo? Trump che si offende? Vance che si indigna? Zelensky che si innervosisce e rifiuta di firmare (per poi farlo pochi giorni dopo)?
E se, supponiamo (la mia è solo una congettura, chiaro) l’ex celebrità del reality e l’ex comico, ci avessero imbandito un piccolo saggio della loro disinvoltura a favore di camera? The Donald che preparava il terreno già da prima, per lo show destinato a sconvolgere ogni protocollo diplomatico, dileggiando il secondo (comico mediocre, dittatore).
Chi erano gli emotivi, che deragliano e si lasciano prendere dal nervo? Loro? O noi che guardavamo un’altra puntata del nuovo reality che va per la maggiore, quello del massacro. La politica e il teatro, arti attigue ma distinte, si confondono nel dominio dello spettacolare, perdendo ogni connotazione specifica, traendo energia dalla sospensione dell’incredulità degli spettatori.
E dire che Trump, in chiusura, lo ha pure dichiarato apertamente di aver fornito sufficiente materiale per lo show.
Che sia stato o meno concordato in anticipo, quello che è certo è che le schermaglie pubbliche tra leader servono a rafforzare precise percezioni: Trump come “uomo forte” che non si fa intimidire, Zelensky come “resistente incorruttibile”, Putin come “nemico che non molla mai”. La realtà sottostante – il gioco di potere sulle risorse, sull’energia, sul posizionamento globale – resta immutato.
A chi è giovato tutto ciò?
Penso sia stato un modo, piuttosto rozzo, per far smarcare Putin, ma siccome di lui tutto si può dire, ma non che sia un frescone, ecco la frenata sul cessate il fuoco; e l’amico Putin torna a essere ciò che è sempre stato: il nemico. Nixon aveva ragione quando diceva che una superpotenza non ha amici ma solo interessi.
Se oltre all’emotività avessimo memoria, ricorderemmo che è tutt’ora in corso l’assorbimento graduale dei paesi Ex-Patto di Varsavia inaugurato da Clinton, in violazione degli accordi successivi alla caduta del Muro di Berlino e il dissolvimento dell’URSS (“non un pollice oltre la Germania” avevano promesso, croce sul cuore) con la Russia di Putin che cerca di ricostituire il suo prestigio e, soprattutto, di non ritrovarsi la NATO nel cortile di casa.
Considerando ciò, a me qualche dubbio sorge, circa l’autenticità dello show nello Studio Ovale, ma soprattutto da questa ipotesi ad absurdum, tutto torna ad avere senso: Trump non è più così imprevedibile, Putin non è più soltanto un autocrate spietato, Zelensky un personaggio sul quale nutrire ragionevole sospetto, (specialmente, vorrei sottolinearlo, proprio per la sua mise da combattente “armiamoci e partite” che grida retorica a ogni passo). E si comprende bene anche il ruolo di “sedotta e abbandonata” dell’Europa.
A noi, il popolo, resta solo l’emotività, il sacrosanto diritto dello spettatore di emozionarsi e inveire o rammaricarsi. È una vecchia storia e, come ad amici che s’innamorano di persone sbagliate, ma che ci cascano ogni volta, verrebbe da dire: “No! Loro non cambiano.”
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