Divinità empie e telluriche puniscono la mia malvagità. Racconto a mia madre di quando, da bambino, menavo un mio compagno di giochi più piccolo perché mi irritava il suo modo di baloccarsi. Lei inorridisce e, al contempo, si avvilisce perché non si era mai resa conto. O forse è uno di quegli infingimenti della memoria che ci consentono di proseguire la vita anche se sprofondati nella miseria umana.
Poi ho sognato di essere in una via del centro, ancora lastricata dal pavé a lisca di pesce, com'era un tempo, le rotaie del tram dismesso, un ampio tratto sventrato da lavori di manutenzione, tubature come viscere che fuoriescono dallo squarcio, longarine rugginose e, di fianco una cospicua cacata di cavallo, sparsa e spiaccicata dai passanti, dalle auto, che scanso salendo sul marciapiede. Mi vengono incontro due ragazze giovani, molto belle, che indossano minigonna e stivaletti bassi, neri, con la zeppa: stanno mangiando un gelato al cioccolato, forse alla nocciola: passano in mezzo alla merda ridendo per la somiglianza del loro gelato con gli escrementi. Ridono scioccamente, ma a differenza del mio solito, mi fanno simpatia. Una di loro, mentre lecca il gelato che cola lungo il cono e la sua mano, si china e, usando la lingua a mo' di pennello, mescola gelato e merda liquidi per tracciare un grande disegno sulla strada: con un movimento fluido, continuo, quasi stesse pattinando, tratteggia la sagoma stilizzata di un grande pesce; la guardo con ammirazione, per la maestria zen con cui disegna l'animale e il coraggio per aver leccato la strada sozza di merda con tanta grazia e indifferenza al disgusto. Ne sono così impressionato, tanto che mi inginocchio nella merda; alla maniera hindu, giungo le mani in un inchino e tocco il suo piede in segno di rispetto, ridendo di gioia, e lei giungendo le mani e facendo a sua volta un breve inchino, mi ringrazia. Poi se ne vanno, lasciandomi ammirato, felice.
Meraviglioso
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