venerdì 12 novembre 2021

Dunque, dunque, dunque…

 …vivo (perché per ora sono indubitabilmente vivo) in un ambiente sociale nel quale ho fatto terra bruciata, ancor prima che la terra fosse terra da bruciare; nel quale non si esita a chiamare in causa la deontologia o la privacy quando la struttura stessa di codesto ambiente è data dai "cappottini" che si cuciono sul tale o la talaltra (incluse le infinite gradazioni fra i due poli del sesso noti, e a dispetto di ogni convenzione per definire l'indefinibile o, infine, l'inaccettabile, ma sto andando off topic), 

dunque laddove la deontologia lo impedisca vi dovrebbe essere, in una cittadina chiacchierona e stancamente cinica, il bisbiglio, il "io non ti ho detto nulla ma…" e quando questo manca, paradossalmente manca interesse, manca amore seppur morboso, manca partecipazione a quegli affanni che tutti noi accomunano.

Devo parlare ancor meno con i miei concittadini, specialmente con coloro che si definiscono per consuetudini ormai esauste "amici di lunga data";  robe patetiche e ipocrite come certe rimpatriate deliranti fra compagni di scuola delle elementari: che ricordo nome per nome e per tale ragione ancor più gioiosamente relego all'oblio, accettando il rischio di perdute serendipità. 

Si è nuovi con chi è nuovo: persino portandosi dietro un passato, o per meglio dire una zavorra di fallimenti, di miserie, di stupidaggini, con tutte le distorsioni che questo esercizio richiede. Le ginocchia si deformano sotto il peso delle nostre vite: diventa grasso viscerale, liquidi che s'insinuano fra gli organi fino a renderci compiutamente disfunzionali. La "deontologia" non c'entra un cazzo, perché il pettegolezzo  è più potente di ogni formalità posticcia; perché i canali per l'acquisizione dei dati su chicchessia, sono infiniti (se si vuole) e sapere della condizione di un vecchio amico in una cittadella chiacchierona, quando altre e personali problematiche non eclissano la questione, è relativamente semplice. Se nessuno sa di te è perché se ne frega; e mi sta bene. Basta che ciò non mi impegni in un dibattito vacuo, tanto per riempire l'aria fra chi conversa.

Finora ho avuto esempi di interesse, rispetto alla mia condizione, guidati dalla preoccupazione di apparire integerrimi, tipica dei provinciali. È una gamma emotiva che comprendo, e che accetto, in quanto anche io provinciale, afflitto da "inprintings" di matrice cattolica; da sensi di colpa; da qualcosa che non è mero condizionamento o domesticazione, ma s'insinua nella fisicità della vita, nella materia organica, che è percepibile dal mio organismo sotto forma di tachicardie, incubi e risvegli precoci, allucinati,  prostrazioni, affaticamenti inspiegabili, dolori al nervo sciatico …e una congerie di malanni che non sto qui a elencare, ai quali i medici non sanno darmi motivazione. O meglio: una solo motivazione, la mia ansia-paranoia costante, sovralimentata, inesauribile.

La "depressione" intesa nel suo quadro classico di sintomatologie quali inattività, del sostare nel letto in preda a un umore "lattiginoso" che non concede distrazioni, né requie, senza offrire vie d'uscita se non altrimenti uno stato soporoso, sarebbe sufficiente, anche senza riscontri fisici; anche senza riscontri cardiaci; anche senza riscontri nervosi. Invece no: il patimento al pari dell'estasi delle sante, coinvolge il corpo in un'estasi negativa, a dimostrare per l'ennesima volta, quanto sia sciocca la dicotomia anima-corpo, spirito-materia. Chi ha intuito questo è stato ben lontano da sciogliere l'enigma, ma perlomeno ci ha indirizzato verso una riconciliazione, della quale probabilmente genetisti, neurologi e filosofi di concerto, sapranno darci ragione nei secoli a venire.

Restando al quotidiano: ho perso la pazienza, dote dei saggi, categoria alla quale non ho mai aderito; la saggezza mi sta sul cazzo e anche la ponderatezza che non mi appartiene fisiologicamente. Sono un tarantolato, e quella roba là sono lussi da "risolti", coolness che riesce bene a chi ci è è portato, o volendo esser cattivi (cioè prigionieri dei propri pregiudizi) da pien di sé. Il lusso non mi appartiene senza che io lo disprezzi. Disprezzo la boria; disprezzo recisamente l'ipocrisia di chi mi definisce "incapace di accettare la trasformazione e il dialogo". Mi trasformo e dialogo con chi cazzo mi pare. Disprezzo l'ipocrisia di chi si cela dietro principi posticci come le barbe di carnevale, per negarmi il diritto di essere vicino a chi credevo amico. Disprezzo – non odio – perché in queste manipolazioni maldestre, in queste vie di fuga prêt-à-porter, sono le fragilità che ci corrodono, ciascuno di noi, come specie funambolica fra il primate furbetto e una distorta idea di divino scadente, cui aspiriamo fra un bagno di sangue e l'altro; e nessuno vuol rendermi giustizia, nella mia volontà di essere altro, nel mio tentativo furioso di essere altro da ciò che ero, e in cui mi ero volontariamente, ostinatamente, pigramente, imprigionato.

L'amicizia si sfalda come una medusa al sole, fra quei riti probatori, fra i conciliaboli dovuti e le bevute: in quest'arida esposizione di egoismi, di priorità, di malanni, emergono inattese le profferte di pochissimi, inattesi, privi di qualsiasi credenziale data dal tempo, dall'assiduità, dalle affinità. Splendidi enigmi di amore senza contropartita, epifanie corroboranti e inattese. E qui mi fermo perché chi vuol capire capisce e come diceva quella triste battuta: chi ha da intendere, in tenda, gli altri in roulotte.

Brutta, eh?! Stateci voi a Pistoia: provate a star male qui anziché in posto con tutti i crismi del dolore, che perlomeno si sta male perché è palpabile uno schifo manifesto e magniloquente; provate a essere testimoni ogni giorno, dell'ipocrisia, dell'indifferenza, del malaffare occulto, dai livelli più basici nei rapporti interpersonali dove prevale un cinismo fiacco e sprezzante, a quelli con le istituzioni, inaccessibili, corrotte, arroganti, massoniche, pubbliche e private…provate a essere testimoni della morte del vostro babbo, dopo dieci giorni di cure intermedie in un lager; e poi quando vi risvegliate come la statua di piazza Garibaldi coperti di guano, e parlate con un presunto "amico" trovarvi accusati, di particolarismo…Mentre la merda acida del piccione vi cola in un occhio e dopo il salutare "vaffanculo", piangete una lacrimuzza senz'astio, come a liberarvi di un corpo estraneo.  

Nel frattempo dalle colline della follia, si viene rimproverati di non voler accettare dialogo e trasformazione, proprio da chi ha fatto del "trasformismo" e della negazione di ogni dialogo autentico la sua bandiera, senza rendersene conto. E quindi dopo un'ennesima serata trascorsa nel merdaio,  rimuginando su tanta spazzatura, ancora di più mi convinco nel mantenere una linea retta, "der gerade Weg", nel nichilismo,  nella rinuncia ad aspettative irreali, nel rispetto residuo di me come organismo e di quegli organismi che accanto a me sopravvivono, evitando al massimo ogni relazione con i miei concittadini, specialmente coloro che si dicevano miei amici (non tutti, ma la maggior parte).

Non è la prima – non sarà l'ultima – potatura drastica che l'albero malato subisce. Non ne verrà gran danno nemmeno se l'albero muore: l'importante è che il male non si diffonda. È questo scarto elementare fra capricci intrisi di liberalismo farlocco e rigore biologico che ci distingue ora.



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