È stato tutto un lento prepararsi, mosse meticolose in apparenza dettate dal momento vivo e le sue urgenze, il buonsenso reattivo e pacato, un vago richiamo al risparmio, di sottofondo come musica attutita da quelle che parevano pareti solide, proveniente da una casa lontana dove si consuma un dramma domestico che non ci riguarda, un tubo dell’acqua che si rompe e allaga le stanze, impregna il finto legno dei mobili svedesi a basso costo montati con cura negli weekend liberi, i libri fradici sul pavimento, i tappeti in tessuto sintetico acquistati nella medesima catena. Qualche anno fa, non saprei dire quanti oggi, ci regalarono – a tutta la popolazione intendo – un set di quelle primissime lampadine a basso consumo che emettevano un lucore tenue, rossastro all’accensione, per poi via via farsi più luminose. La luce opalescente al loro picco, si diffondeva come resina da una corteccia d'abete recisa, su suppellettili, mobilio e volti di anziani infastiditi “Già ci vedevo poco con le lampadine a incandescenza! Ma cos’è questa roba? Par d’essere al cimitero”. Ma su ogni mugugno, vinsero il richiamo - à la carte - al generico buonsenso e lo spirito di adattamento. Gli sfarzosi quartieri residenziali intanto brillavano come presepi la notte di Natale, scintillanti, domotici, serrati dietro triplici cordoni di sicurezza da manipoli di guardie armate, checkpoint sanitari, tornelli con metal detector e sbarre che si alzavano al passaggio dei SUV elettrici – blindati – che riportavano al comfort di quegli abituri sereni, riscaldati e luminosi, la prole eletta, acchittata con piumini madreperlacei e vestitini di marca di buona fattura, con i loro zainetti costosi, sotto lo sguardo vigile del Famiglio sintetico alla guida, una via di mezzo fra un Furby e un energumeno farcito di anabolizzanti. Fuori dai paradisi artificiali tutto era un terzo paesaggio nel quale, fra le crepe di una civiltà in disarmo, spuntavano ciuffi di entropia destinati a diventare intricati roveti; gli alberi del viale cadevano marci nei giorni ventosi e subito sparivano, assaliti da formicai di persone infreddolite. Qualcuno cominciò ad abbatterli poi, e ne fece mercato nero. I carretti arrugginiti dei grandi centri commerciali fantasma facevano la spola spinti con fatica fino alle case da vecchi e bambini sporchi, buttati con l’acqua sporca, trascinati su per le scale fino al settimo piano con lunghe pause sui pianerottoli per dar tempo a cuori malati e non curati di regolarizzare il loro battito, un tamburello da spiaggia, quelli con le palline di plastica, che frullavi fra le mani, nella compulsione infantile. Infine il buio appartamento di nonni e nipoti: nipoti di cui i nonni non erano nonni e viceversa. Li chiamavano Accorpamenti. Figli di genitori estinti nella Trenta/Cinquanta, bambini tratti in salvo dai barconi di fortuna dei migranti; frutti bacati di fecondazioni controllate; trovatelli abbandonati nei pressi di cliniche e centri del Culto, caserme della Milizia ecc…
Gli anziani necessitavano di compagnia e giovani braccia per sopravvivere, così come questi fanciulli desideravano sentirsi amati. Non sempre andò bene: alcuni vecchietti incanagliti o da sempre canaglie, non si fecero scrupoli ad abusarne; alcuni ragazzetti sgamati non esitarono a far fuori i vecchi, gettarne il cadavere in qualche death-stack fuori casa e continuare a riscuotere la loro risibile pensione. Avevano un posto dove stare, un buco nel muro come i piccioni e, se vogliamo parlare di piccioni poi, come di cani o gatti, questi se la batterono a gambe verso le foreste – o ciò che ne restava sulle spelacchiate colline prese d'assalto dal racket della legna da ardere – visto che erano diventati un vero e proprio gourmet nella dieta desolante dei Cascami*. Ricordo ancora con un brivido quando canili, cliniche veterinarie e negozi di animali iniziarono, da prima sottobanco, a vendere a tranci i cadaveri di bestie soppresse; i ragazzini che un tempo non lontano a passeggio, si rimpinzavano di patatine ketchup e maionese, inghiottivano con avidità da un sacchetto trasparente pesci rossi ancora guizzanti (lo chiamavano susci con la C). Quelli che pochi anni addietro erano rifugi per animali abbandonati, ambulatori, negozi di bestiole di razza con teneri cucciolotti, pappagalli variopinti e acquari ipnotici, divennero macellerie dove sbrigativamente si squartavano gli animali domestici, si tagliavano in varie pezzature, vendute poi, passando i sacchetti di carta intrisi di sangue da un pertugio nelle saracinesche abbassate, mentre un omone intirizzito nella sua lercia canotta, teneva ben stretto fra le mani un fucile da caccia, sempre col colpo in canna, caricato a sale grosso e pallettoni, così che la morte del ragazzino furbo o del vecchio che pensava di poter fare il furbo, fosse lenta, per gangrena. Per i miti invece, vecchi o giovani che fossero, la giornata trascorreva così: la legna trascinata fino al settimo piano alimentava una vecchia cucina economica recuperata in discarica oppure un tracchilò autocostruito con lamiere o vecchi bidoni che non di rado sterminava qualche Accorpamento con le sue esalazioni di monossido; sulle piastre arroventate veniva cucinata la carne di cane o gatto o piccione – quando era festa – altrimenti sobolliva pigra e maleolente, una zuppa allungata con l'acqua piovana raccolta in un secchio. A sera, con la pancia piena (si fa per dire) il nonno era solito uscirsene con la battuta di un vecchio film italiano “E anche per oggi è andata!” scoprendo le gengive pallide di una dentiera trafugata in un ossario che gli sguisciava quasi fuor dalle labbra, in un ghigno scimmiesco al nipote. Poi i due attendevano con ansia le ore ventuno, quando sarebbe ripresa l’erogazione della corrente elettrica e dell'acqua per circa tre ore: gratis! E con gratitudine per tale gratuità, accendevano tutto: lo scaldabagno per una frettolosa doccia calda prima di coricarsi; la vecchia tv a risparmio energetico dove scorrevano fra artefatti, scattose, le immagini diafane di repliche di telequiz presentati da un insopportabile nasone dalla voce stentorea oppure qualche sceneggiato, di quelli belli di una volta, coi preti e i carabinieri, ma prima di ogni altra azione, che l'elettricità ravvivando nella memoria l'epoche liete, in quelle poche ore in cui il nonno e il nipotino illudeva beffarda del ritorno ad un oscuro benessere, la vera gioia era poter accendere, col suo fioco lucore cimiteriale, la lampadina.
*fu data questa denominazione e status giuridico alla gran parte della popolazione.
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