sabato 4 settembre 2021

L'istrice

Cammino grande, di istrice che scuote le punte perdute, istrice glabro che s'immagina capellone e innamorato, mentre il mondo vomita i suoi primati. Un aborto di grida senza il nonno, i padri occupano lunghe panchine nella nebbia, nessuno di questi è vivo. Puoi vederli ma non puoi interrogarli. Bioluminescenza: dite sia sciocco parlarne per degli spettri? È quel pallino residuo di fosfeni che indugiava al centro dei vecchi televisori; una radiazione insistente e impalpabile che ti restava negli occhi. Come vorrei abbracciarvi di nuovo tutti, raccogliervi come l'erba secca,  a fasci, mietervi come paglia e stringervi, proprio lì dove ho cercato di fare il bozzolo più e più volte; dove ansimavo, e quelle risate e quei pianti che mi passavano da una parte all'altra come le sciabole della scatola magica del prestigiatore. Le vicissitudini di chi subisce una metamorfosi in una forma passata (regressione con capelli e barba) diventando poi di paglia, di polvere, di vento, di sonno: queste sono alcune fasi che precedono lo smarrimento. Ma non c'è Dio. Non c'è positive vibration, non c'è nulla di onesto nel veicolare l'acido, nel trasformare un'esperienza illimitata in un playground da studentato americano, un focus sui tuoi progettini di merda. L'autista lo paghi per farti rapire, non per andare alla spa, non per fluttuare in una floating tank;  e ripetere pedissequamente un manuale talmente abusato da sbriciolarsi, un rito afono, scordato come il pianoforte delle Ville Sbertoli. Erano i padri, le amanti, gli animali, tutto quello che è stato perduto senza rimedio, da piangere senza ritegno, e non trasformazioni fasulle: la grande metamorfosi del primate in Terra e paglia, dell'istrice che caracolla al Parco della Rana, accompagnato dal suo nocchiero, non hanno nulla a che vedere con le caccole di Pollan, con i suoi salottini con le lampade di sale e le campane tibetane, con i suoi farmacisti che trasformeranno la medicina in veleno, senza rendersene conto, con le migliori intenzioni. Gli istrici muovono scuotendo verso il confine della Selva ultima; ora sono nudi e la loro pelle è grinzosa e le dita sono di cera: convulsioni scuotono le gambe, grandi pisciate. Subiscono processi di delaminazione cutanea. Sono xerotici, seminano le loro spore in una mutazione che ci rende ospiti dei vari regni per riportarci al lettuccio di casa, sotto il quale ritrovo gli occhiali che avevo inglobato nella mano. Il lettuccio di casa, il letto dove siamo stati bambini, poi amanti, e dove siamo morti mille volte.

Alla finestra di Napoli, è accanto a me il nocchiero: mio padre, mio nonno, il ragazzino è cangiante e radioso. L'aria è piena di ocelli, veniamo osservati dal mondo, nella nostra inadeguatezza, nella maldestrezza, nel rischio un po' stupido di chi si getta nella mischia a infradito (come as you are). L'aria è di vetro soffiato e olio…non puoi programmare all'infinito un decollo di questa portata, e ogni volta rimandare, dopo tutto quello che abbiamo passato, dopo essere stati rintanati nel terrore e consapevoli che è solo l'inizio di un'era oscura, di un inverno della coscienza collettiva. 

 

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