venerdì 11 ottobre 2024

De Imitatione Christi

Il primate imita Tommaso da Kempis; ovvero il Protestantesimo (riforma Luterana) come simulazione et assimilazione della cultura ospite (christomimesis). 

Perciò é nota la "mimicry" (nel gioco come venne definito da Caillois: Alea, Mimicry, Vertigo Agon) ma anche come imitazione di modelli maschili o (ça va sans dire) patriarcali assimilabili al grottesco dell'impossibilità fisiologica, dove la fisiologia non consente deroghe al femminile cromosomico/biologico e grammaticale; non c'è speranza, non si tratta più di ideologia o di consapevolezza; il gioco dell'imitazione come emancipazione proforma aggrava e allontana dall'obiettivo di autentica emancipazione e rinforza il toolkit del Capitalismo, lo arricchisce di nuovi codici per appropriarsi del trascrittoma:

"Ciò che nella vita fa la differenza fra salute e malattia è come, quando e quanto esprimiamo i diversi geni, e questo lo si capisce studiando quale Dna viene trascritto (il trascrittoma)…" Elena Meli, Corriere della sera, 8 aprile 2012, p. 59, Salute"

L'emancipazione proforma è conquista dell'inutile che si esprime in un'architettura compatta e asfissiante come un tumulo: l'invasione di ogni vuoto con soffocanti riempimenti, colata di alluminio fuso nel nido di formiche del fuoco, un cinema ricolmo di stronzi, poromeccanica (meccanica dei vuoti secondo Negarestani)  che satura di movimenti nervosi, poiché é il verme che scavando il labirinto quadrimensionale, occupa tutti i vuoti nel cronogramma spaziale di tutti i tempi del suo movimento.

L’imitatore è colui che tenta di aderire entusiasticamente ma non perfettamente al modello consumato e liscio / pieno che viene così generato; sulla superficie esterna del modello a quattro dimensioni, l’adesivo 3D delll' identità fittizia dell'imitatore forma pieghe e bolle e quando lo sticker non si attacca bene, nelle pieghe si raccoglie un percolato – il Nulla che cola dalla Fessura nella Nube di Oort – ogni pertugio che si vorrebbe preso, tutto ciò che si vorrebbe straboccante e privo d'intersizi è fallace.

Allora, tu dici, tu pretendi: “Trova il tempo!” 

Il tempo è una convenzione, una sorta di subroutine topologica del tutto consustanziale allo spazio come un nastro di Moebius ingaggiato a fare il Cucù. 

Esempi?
Vaffanculo! Siamo pervasi da adesioni acritiche di piacenti inconsistenze! Comunque per non dar nulla per scontato… I.E: ristoranti affollati di ombre senza corpo che le proietti; memorie che evaporano nella demenza senile o alcolica passando dalla fuzz-machine dei linguaggi gergali/tecnici o prudenziali ma puzzando di fritto e/o grufolando come maiali nel truogolo.

Per creare spazio all'Imitatore, lo spazio verrà distrutto all'alba, come la città dei folli diventati tali per via del contagio incidentale con un'arma batteriologica, per creare un vuoto artefatto da riempire con tessuti cicatriziali alieni/ (Sellars cit. architettura alienante)  e poi?

M.E.R.D.A. ( Mutua Et Reciproca Distruzione Assicurata)

Nella base orbitale a gravità 3G, schiacciato come un rospo, sogna Folgheraiter (cioé, in parte, l’obeso critico dell' "ESSERE SCRIVENTE" che ripubblicherò qui dopo la scomparsa di LGE; il folle et ripugnante relatore sostituto che utilizza carta igienica come segnalibri, ma anche il placido artigiano fiorentino, di origini austro-ungariche, dal quale si recava mio padre per dorare le cornici.)

SI produce gravitas, nonostante la perdita di 40 kg (egli oppure io) si muove e pensa ancora come un ciccione: il (più) di di LGBTQI+ é sicuramente il CYBORG. Imitatore o Nuovo Essere?

Descrizione di me Cyborg fatto e finito: 
  • CRTD (defibrillatore pace-maker Boston Scientific modello X4 Resonate)
  • lenti a contatto (day by day)
  •  6 o forse più stent coronarici
  •  Chiodo tibiale (credo in titanio…)
  • Ricostruzione del muscolo cardiaco , dopo una sternotomia urgente, inesatta, di sbieco.
  • Dentista che diagnostica paradontite ( bisogna spendere molto per non far cascare i denti) 

Ma attenzione! Non solo protesi biomeccaniche:

  • Prescrizioni farmacologiche ad lib di betabloccanti, antiaggreganti, statine ecc…
  • Amnesia da abuso di benzodiazepine e alcol.
  • La vertigo /ilinx che infrange la Separazione fra gioco e…(cosa non è un gioco?)
  • La trappola senza via di fuga: una torbiera per pecore distratte…
  • La sete infinita del dializzato morente…
  • L’eclisse totale fra senso del dovere e senso di colpa!
  • burn-ouT…
  •  Mu.th.R  ovvvero: la descrizione della madre / il modello femminile patriarcale compiuto et risucchiato nell’accudimento (é andata così, Mamma…) / donde: la recherche di modelli che non appartengano ai modelli di sfruttamento agrilogistici, né all’imitazione di modelli maschili divenuti insostenibili indipendentemente  dal genere.
  • …Soluzioni? Ricostituzione della partnership (vedi McKenna)
  • … alternative? Estinzione oppure ibridazione. 
Ma vaffan' mocc 

Il nuovo tessuto cicatriziale è necrotico diocanna
Collega le sponde recise ma non consente il passaggio del segnale, genera una turbolenza nel sistema di conduzione principale del fascio di His e anche un fuorviante senso di pienezza o meglio di malsano turgore e il segnale elettrico inesatto causa extrasistolia endoventricolare, accompagnata a un gonfiore antistaminico; non di rado si produce in un abbassamento delle difese immunitarie: herpes, minuscole bolle agli angoli della bocca, afte. Nessuna via di uscita: nemmeno per il corpo astrale che svolazza sul suo gemello dormiente, aspirante cadavere, conca per grevi efialti.

Chi, galleggiando sulla superficie dell'Oceano di Idrogeno Metallico di Giove indugia nell'Occhio Rosso della Tempesta senza fine? La tempesta è la sinusite imperterrita e vastissima che spezza la fronte madida con il dolore. Chi (gravato dalla pressione dei due elementi superdensi) in sospensione troverà lo stupefacente equilibrio delle palle da basket di Jeff Koons?


LOVE: 
A Michail Gorbaciov e a tutti coloro che trovando spazio costruirono il tempo senza colonizzarlo.

lunedì 11 settembre 2023

Noi tutti moriremo senza aver mai scritto nulla di lontanamente paragonabile a Meridiano di Sangue

Noi tutti moriremo senza aver mai scritto nulla di lontanamente paragonabile a Meridiano di Sangue, o Sopra Eroi e Tombe, o la Possibilità di un’Isola. Ci ha provato Meschiari a metterci in guardia ma lo ha fatto con una inspiegabile spocchia, dettata dall’urgenza di chi negli androni di un pronto soccorso annuncia un imminente decesso. Intorno al profeta delirante nel deserto editoriale italiano, un voltare di spalle, un silenzio imbarazzato come quando l’amico ebbro sbrocca. Ed è stato tutto sbagliato perché sapevamo la verità pur vedendola da angolazioni diverse e valutandola da rendite di posizione sfalsate. 

La verità è che non siamo in grado antropologicamente di produrre un’epica: annaspiamo nella ricombinazione, ci trastulliamo in una lingua che di per sé si presta al trastullo e agli svolazzi; queste finezze non contengono cattiveria, gli occhi di chi le produce non conoscono la spietata macina del mondo; le menti disinfettate dal male di vivere di Wallace ricorrono alla psichedelia per compensare un vuoto che la psichedelia non può compensare perché necessita di una pienezza che lo includa (per sopravvivere architettonicamente) e materiali eterogenei frutto di esperienze, traumi, memorie. 

Si è parlato di un diffuso degrado cognitivo della specie umana. La Zivilisation deriva nel grottesco di Idiocracy senza troppi complimenti, e ciò che pareva parodia solo pochi anni fa, adesso è scenario credibile, auspicabile per alcuni. Le piaghe del fascismo e d’altro canto quelle di un perbenismo che assottiglia il vocabolario e limita le espressioni privando di ogni sfumatura il triviale e relegando le sue voci al becerume mediatico, ci privano della possibilità di essere altri da noi, anche peggiori di noi, di calarsi nell’orrore, di rovistare nella materia purulenta e fecale da cui sgorga il verso primigenio. 

Pur di non essere fraintesi ci autocensuriamo, ci ergiamo ad anime belle per partito preso: ma siamo autenticamente emancipati? Disposti ad abbracciare il diverso, lo sconcertante con questo toolkit sfornito? Siamo disposti ad accogliere tutto il male del mondo? Ad abbracciarlo con uno sguardo privo di autocompiacimento ma vasto a sufficienza da delinearne l’orizzonte degli eventi. 

Dunque, con molta umiltà, da lettore appassionato di opere grandi e controverse, io credo di no; stiamo rinunciando per “la la pace di casa”. L’insegnamento che ci giunge dai grandi ci scivola addosso e una tremenda idiozia ci sta consumando, perché di ogni parola troveremo la sconvenienza e infine resteremo muti primati attorno alla pozza d’acqua lercia osservando le ossa e le pietre senza scorgervi l'utensile per non scorgervi l'arma.

martedì 8 novembre 2022

FIAT LUX

È stato tutto un lento prepararsi, mosse meticolose in apparenza dettate dal momento vivo e le sue urgenze, il buonsenso reattivo e pacato, un vago richiamo al risparmio, di sottofondo come musica attutita da quelle che parevano pareti solide, proveniente da una casa lontana dove si consuma un dramma domestico che non ci riguarda, un tubo dell’acqua che si rompe e allaga le stanze, impregna il finto legno dei mobili svedesi a basso costo montati con cura negli weekend liberi, i libri fradici sul pavimento, i tappeti in tessuto sintetico acquistati nella medesima catena. Qualche anno fa, non saprei dire quanti oggi, ci regalarono – a tutta la popolazione intendo – un set di quelle primissime lampadine a basso consumo che emettevano un lucore tenue, rossastro all’accensione, per poi via via farsi più luminose. La luce opalescente al loro picco, si diffondeva come resina da una corteccia d'abete recisa, su suppellettili, mobilio e volti di anziani infastiditi “Già ci vedevo poco con le lampadine a incandescenza! Ma cos’è questa roba? Par d’essere al cimitero”. Ma su ogni mugugno, vinsero il richiamo - à la carte - al generico buonsenso e lo spirito di adattamento. Gli sfarzosi quartieri residenziali intanto brillavano come presepi la notte di Natale, scintillanti, domotici, serrati dietro triplici cordoni di sicurezza da manipoli di guardie armate, checkpoint sanitari, tornelli con metal detector e sbarre che si alzavano al passaggio dei SUV elettrici – blindati – che riportavano al comfort di quegli abituri sereni, riscaldati e luminosi, la prole eletta, acchittata con piumini madreperlacei e vestitini di marca di buona fattura, con i loro zainetti costosi, sotto lo sguardo vigile del Famiglio sintetico alla guida, una via di mezzo fra un Furby e un energumeno farcito di anabolizzanti. Fuori dai paradisi artificiali tutto era un terzo paesaggio nel quale, fra le crepe di una civiltà in disarmo, spuntavano ciuffi di entropia destinati a diventare intricati roveti; gli alberi del viale cadevano marci nei giorni ventosi e subito sparivano, assaliti da formicai di persone infreddolite. Qualcuno cominciò ad abbatterli poi, e ne fece mercato nero. I carretti arrugginiti dei grandi centri commerciali fantasma facevano la spola spinti con fatica fino alle case da vecchi e bambini sporchi, buttati con l’acqua sporca, trascinati su per le scale fino al settimo piano con lunghe pause sui pianerottoli per dar tempo a cuori malati e non curati di regolarizzare il loro battito, un tamburello da spiaggia, quelli con le palline di plastica, che frullavi fra le mani, nella compulsione infantile. Infine il buio appartamento di nonni e nipoti: nipoti di cui i nonni non erano nonni e viceversa. Li chiamavano Accorpamenti. Figli di genitori estinti nella Trenta/Cinquanta, bambini tratti in salvo dai barconi di fortuna dei migranti; frutti bacati di fecondazioni controllate; trovatelli abbandonati nei pressi di cliniche e centri del Culto, caserme della Milizia ecc… 

Gli anziani necessitavano di compagnia e giovani braccia per sopravvivere, così come questi fanciulli desideravano sentirsi amati. Non sempre andò bene: alcuni vecchietti incanagliti o da sempre canaglie, non si fecero scrupoli ad abusarne; alcuni ragazzetti sgamati non esitarono a far fuori i vecchi, gettarne il cadavere in qualche death-stack fuori casa e continuare a riscuotere la loro risibile pensione. Avevano un posto dove stare, un buco nel muro come i piccioni e, se vogliamo parlare di piccioni poi, come di cani o gatti, questi se la batterono a gambe verso le foreste – o ciò che ne restava sulle spelacchiate colline prese d'assalto dal racket della legna da ardere – visto che erano diventati un vero e proprio gourmet nella dieta desolante dei Cascami*. Ricordo ancora con un brivido quando canili, cliniche veterinarie e negozi di animali iniziarono, da prima sottobanco, a vendere a tranci i cadaveri di bestie soppresse; i ragazzini che un tempo non lontano a passeggio, si rimpinzavano di patatine ketchup e maionese, inghiottivano con avidità da un sacchetto trasparente pesci rossi ancora guizzanti (lo chiamavano susci con la C). Quelli che pochi anni addietro erano rifugi per animali abbandonati, ambulatori, negozi di bestiole di razza con teneri cucciolotti, pappagalli variopinti e acquari ipnotici, divennero macellerie dove sbrigativamente si squartavano gli animali domestici, si tagliavano in varie pezzature, vendute poi, passando i sacchetti di carta intrisi di sangue da un pertugio nelle saracinesche abbassate, mentre un omone intirizzito nella sua lercia canotta, teneva ben stretto fra le mani un fucile da caccia, sempre col colpo in canna, caricato a sale grosso e pallettoni, così che la morte del ragazzino furbo o del vecchio che pensava di poter fare il furbo, fosse lenta, per gangrena. Per i miti invece, vecchi o giovani che fossero, la giornata trascorreva così: la legna trascinata fino al settimo piano alimentava una vecchia cucina economica recuperata in discarica oppure un tracchilò autocostruito con lamiere o vecchi bidoni che non di rado sterminava qualche Accorpamento con le sue esalazioni di monossido; sulle piastre arroventate veniva cucinata la carne di cane o gatto o piccione – quando era festa – altrimenti sobolliva pigra e maleolente, una zuppa allungata con l'acqua piovana raccolta in un secchio. A sera, con la pancia piena (si fa per dire) il nonno era solito uscirsene con la battuta di un vecchio film italiano “E anche per oggi è andata!” scoprendo le gengive pallide di una dentiera trafugata in un ossario che gli sguisciava quasi fuor dalle labbra, in un ghigno scimmiesco al nipote. Poi i due attendevano con ansia le ore ventuno, quando sarebbe ripresa l’erogazione della corrente elettrica e dell'acqua per circa tre ore: gratis! E con gratitudine per tale gratuità, accendevano tutto: lo scaldabagno per una frettolosa doccia calda prima di coricarsi; la vecchia tv a risparmio energetico dove scorrevano fra artefatti, scattose, le immagini diafane di repliche di telequiz presentati da un insopportabile nasone dalla voce stentorea oppure qualche sceneggiato, di quelli belli di una volta, coi preti e i carabinieri, ma prima di ogni altra azione, che l'elettricità ravvivando nella memoria l'epoche liete, in quelle poche ore in cui il nonno e il nipotino illudeva beffarda del ritorno ad un oscuro benessere, la vera gioia era poter accendere, col suo fioco lucore cimiteriale, la lampadina. 


*fu data questa denominazione e status giuridico alla gran parte della popolazione.

mercoledì 13 luglio 2022

il Cane

Che l’amore sia un’espressione di egoismo lo si evince dall’ampia letteratura e aneddotica sul tema. Non si sta insieme che per rispondere a una funzione che l’altra persona ci attribuisce più o meno patentemente, e viceversa. Le si chiamino, con un’indulgenza in odore d’ipocrisia, aspettative, ma di fatto è l’infaticabile esercizio di manipolazione e sfruttamento altrui che dal tramonto delle società della partnership delinea i nostri comportamenti, anche quelli che vorremmo romantici, disinteressati, appassionati. Dove il laboratorio di chimiche pro tempore convergenti fa boom, è invece proprio lì, nell’intimità, coadiuvati dalle voci sussurrate nell’alcova si articolano raggiri, si programmano ricatti, si perviene in casi limite non infrequenti a violenze fisiche e psichiche: vi ricordate quelle piccole scacchiere magnetiche da viaggio? L’amore è questo: è in piccolo una guerra, una strategia commerciale, un progetto impattante, che sfruttando la fragilità di chi vi si espone, disattiva o comunque obnubila il libero arbitrio, la capacità di dire NO. Per tali motivi, moltissimi in questi tempi durante i quali l’amore sarebbe pure a buon mercato, preferiscono il cane o altro animale d’affezione, che sicuramente ci priverà del pepe del senso critico, del confronto, delle gioie dell’amplesso, ma ci donerà un amore assoluto, scevro di giudizi, una costante insomma che nella precarietà franante del presente, seppur in chiave minore, aneliamo come aria. Anche questa fame di un amore assoluto, a ben vedere, una forma di egoismo… possiamo latrare alla luna, qualcosa in cui l’alcol ci rende formidabilmente dotati. 

lunedì 27 giugno 2022

Hamistagan

"Nel testo zoroastriano del IX secolo Dadestan-i Denig ("Decisioni Religiose") l'hamistagan è un luogo o uno stato in cui le anime di chi in vita ha commesso lo stesso numero di buone e cattive azioni attendono il Giorno del Giudizio. Nel frattempo chi ha agito rettamente prova la beatitudine, mentre chi ha agito malvagiamente soffre atroci tormenti."

fonte https://it.wikipedia.org/wiki/Hamistagan

Iperboli ovunque. Si direbbe che persino le unghie sudino, che dalla superficie di cheratina compatta, gocce, microscopiche sfere si addensino come aliti su vetri gelidi a formare un rivolo che a sua volta, si raccoglie in una pesante e grossa goccia sulla punta dell'indice e sfidando la forza di gravità, permane gonfiandosi, sempre più; ma le unghie non sudano così come la polvere non genera pulci; si rammentino i giugni miti della recente preistoria climatica, quando si era soliti sudare con discrezione: adesso è una scure che taglia di netto tubi e vescicole ricolmi.  Adesso è una scure.

Dondolano dalla finestra le dita con le ultime sigarette prima dello STOP programmato a una settimana da adesso, ciondolano e stizzano via la cenere che risale le correnti ascensionali e ritorna in casa, depositandosi come coriandoli albini sul nero della t-shirt o sul glabro petto nudo. Pensare con soddisfazione all'amore e stirarsi, appoggiando il cazzo sul davanzalino di marmo della finestra; pensare a tutto ciò che la memoria ha smesso di trattenere, dilapidando il suo capitale di studi, letture ed esperienze, come accade a certuni sfasciatissimi e sordidi loro malgrado con le loro deiezioni. Ciò che s'impara e si è letto scorre via in liquame; si confida in un deposito, una concrezione profonda, laggiù, un embrione che pare si rianimi tramite uno stimolo inatteso: il miracolo, il caso di una parola che schiuda, la ripresa degli studi, la mera compulsione… sempre più spesso la creaturina che risorge non ha volto, non ha nome, né una data di nascita. La si chiama "Cosa" e di essa si può dire che può "cosare". Si assiste così a processioni sconclusionate, alla deriva per le stradine di un paese ignoto, dove vengono portate a spalla figure di manichini – talvolta, neppure antropomorfi, bensì convolvoli di muscoli e braccia, dita e intestini, come le figurazioni perturbanti del deep dream – ma di plastica bianca, lucida come glassa sotto il sole che non svela e il mormorio dei fedeli che le accompagna è lo scorrere di quei liquami che si è incapaci di trattenere, guardando con imbarazzo e indignazione, un infermiere scocciato che a dispetto di ciò, debba nettarci l'ano raggrinzito.

mercoledì 11 maggio 2022

Le Miserie del Cazzo

Ai maschi di un certo tipo, che lascerò vago nei suoi contorni, un po’ sfigati, ma non decisamente sfigati, basta fare un buco in terra e anche se fosse un nido di formiche di fuoco, ce lo infilerebbero. Come certi affamati che si mangerebbero la merda, i topi, le carcasse dei cavalli o di coloro che, morti d’inedia li hanno preceduti. Una vita feroce, guidata da un sistema nervoso enterico in preda agli spasmi che, a un bel momento, si è sovrapposto alla ratiosupremazia claudicante della corteccia, al suo dominio fallace. 

Poi ok: sì, il testosterone, c’è il testosterone, il “palletico” come dicono i toscani di cui mi fa uggia quasi tutto, in particolar modo certe espressioni rozze ma vivide… il palletico è una forma ansiosa e compulsiva, un'irrequietezza tutta viscerale, testicolare, una prurigine senza oggetto che solo la pratica di un sesso sfrenato e indifferenziato o una sbronza ottusa possono lenire; è il peregrinare di animali in cattività nella loro gabbia interiore, ossessi da un destino nitido: una promessa di naufragio che viene mantenuta puntando dritto la prora del cazzo su scogliere che affiorano dai marosi della botta. Non è nemmeno autolesionismo. C’è una residua intenzione ma infine prevale la corrente sotterranea della specie che seleziona i fragili scafi al loro fine ultimo di frangersi. Quando accadrà? Quante volte l’abbiamo scampata? Quante volte il terrore di morire ci farà sbiancare e frignare appena un nanosecondo dopo aver sbraitato insensatezze sul libero arbitrio? Ecco lì il canyon che reclamavi, adesso è a un passo. Ecco lì il nido di formiche urticanti per il tuo cazzetto teso dal cialis. È tutto pronto, imbandito sul margine oltre il quale anche i pettoruti invocano la mamma. DFW ripete più volte che la donna che ti uccide è la donna che ti partorirà a nuova vita. Madre e morte. O viceversa: cosa avvelena questa catabasi intrapresa da principio con passo agile? A ben vedere solo sensi di colpa: aver deluso noi stessi perché proprio sulla retta via della saggezza e della sobrietà abbiamo scoperto la libertà di farsi male – c'era un goblin sotto il ponte d'arcobaleno della redenzione – e che questa libertà come ogni altra è uguale, nessun giudice, nessuna morale d'accatto, solo consigli cauti di qualche cerusico malpagato per elargirli senza entusiasmo. Ma l’amore, nemmeno l’amor proprio c’entrano un cazzo; la vertigine ci attrae come un buco nero e a un certo punto ogni resistenza è vana e le belle e buone parole vanno nel compost insieme a gusci d’uovo, alle bucce d’arancia, ai fazzoletti moccicosi e a briciole di varia indefinibile natura. 

sabato 7 maggio 2022

Proemi Eremitici

La solitude è un verme, una scatola, uno spazio infinito in un corpo finito, un’assenza dove si aspettava una presenza, una spiegazione in una lingua sconosciuta a un interlocutore svanito, il freddo sette della cicatrice inerte che si manifesta sottoforma di spilli sottocutanei come una bambola voodoo alla rovescia, la parola sulla punta della lingua quando ne abbiamo smarrito i presupposti e il ragionamento si è infranto in nembi come una tromba d'aria che si smonti delle sue correnti vorticose; il cacciavite quando chiedi il pane, l’acqua che si nega al cretto del fiume arido che si snoda verso il mare: lagune melmose, sabbiosa insolenza che affiora, amicizie sabotate, silenzio, molto spesso è silenzio perché la voce senza ascolto esaurisce la sua ragion d'essere e così gli organi fonatori si atrofizzano. Ma se fosse solo questo, non sarebbe un gran male: è che la solitudine ti cerca, è la miseria che ti cerca come un amante molesto, come un esattore e come un predatore brama la sua preda. Anche così si potrebbe accettare: ma se la solitudine fosse la materia stessa del tuo corpo, delle tue cellule, e come queste cellule mutasse  incontestabile nella sua replicazione? Se fosse un marchio nucleotidico impresso alla nascita, non meno del colore dei tuoi occhi o dei tuoi capelli e pur circondato da mille persone, trovassi in quelle loro stesse cellule, la medesima barriera, il respingersi dei poli uguali della calamita, la repulsione. E se inoltre fosse un destino? La trama già scritta e prevedibile di una storiella come tante, quei sentieri che si sa dove portano, ben tracciati e segnati: una sicurezza in fondo che protegge da psicosi e falsi allarmi. Un abbraccio che ci si dà quando il freddo alieno dell'altra certezza che abbiamo c’investe e ci stropicciamo con le mani algide sotto le braccia, a riscaldare per frizione meccanica quelle cellule riottose al calore quanto ne sono affamate. Soprattutto, qualsiasi cosa essa sia è irrimediabile e beffarda come ogni consolazione. Forse, incontaminata dal vociare e dai sussurri, dalle promesse che si fanno ubriachi, sarebbe anche tollerabile: non avesse aspettative, reclami, interruzioni festose quanto sospette, fosse quieta come un lago, appena increspata da brezze di vita, se ne stesse al suo posto a occupare crateri e vuoti che non si possono riempire d’altro. Forse così, come quest’ultima estate senza nessuno, a braccetto alla paura e alla volontà come chi è zoppo, o mutilo: le due brave comari brutte, una per parte, a sostenere l'afflosciata complessione nel suo ramingare. Era meglio così dell’illusione, degli specchietti rilucenti di amicizie e amori famelici, dipendenze minori e insidiose, sigarette dal balcone che tracciano una parabola di fumo ed esplodono scintile sulla strada. Qualche babbeo saggio lo capì bene e se ne venne fuori con la frase “meglio soli che…” il resto è astioso, piuttosto stupido, orgoglioso. Non c'è un “meglio” è così punto: è carne non meno dell'attesa di finali noti; non condizione, né scelta. È tutto quello che sei, che hai, che avrai, dalla culla alla tomba. È la guida esatta che conduce dal vagito al rantolo, e pur prossimi o lontani che siano l'uno dall'altro, il solo dato ci è noto di quelle smorfie scomposte, speculari, parallele a generare infiniti riflessi che degradano nell'oscurità, riflessi di una figura solida che non c'è, o se c'è è in fuga, così la foto viene mossa, questa antica ossessione di cogliere l'attimo, di esser parte di un disegno.